Blog di Giacomo Bertoni, giornalista e scrittore. Già la Provincia Pavese, Ossigeno per l'informazione, il Ticino, Radio Mater, iFamNews.
Qui si parla di giornalismo, giovani, vita, libri, Chiesa e futuro.
È viola il mio primo fiordaliso di questa insolita
primavera. Ha fatto capolino stamattina, come se volesse prendere parte alla ripartenza del Paese dopo il lungo isolamento. Anche lui, giovane fiore, vuole
esserci. E i giovani umani invece, che possibilità hanno in questa ripartenza?
Li
semino ogni anno i fiordalisi, questi eleganti eppure rustici fiori dai
leggerissimi petali azzurro/blu. Crescono in fretta, si moltiplicano con
generosità, formano una macchia di colore che spazia dall’azzurro cielo al blu
profondo del mare a un viola quasi cupo. Un viola che non potresti mai portare
a teatro.
«Voi parlate
tanto dei vostri figli, ma che mondo lasciate loro?». Greta Thunberg compare sul
maxi schermo e attacca i politici, colpevoli di aver creato e di continuare a
promuovere un modello iniquo di società, dove pochi si arricchiscono sulle
spalle di tanti. «Il cuore del messaggio di Greta non è tanto l’ambiente,
quanto un mondo nel quale si sono rotti tutti i legami. Quello fra l’uomo e la
natura, certo, ma prima di tutto quelli fra gli uomini, come il legame
transgenerazionale», commenta don Luca Massari al termine del video.
È giovedì
sera, siamo nell’aula magna del seminario vescovile di Pavia. Fuori diluvia:
per raggiungere il seminario abbiamo attraversato le viuzze longobarde
trasformate in fiumi. Si apre così la seconda serata de “La Quinta Direzione”, il
cammino per i giovani che si presenta come: «Un percorso rivolto a chi non si
accontenta di cercare seguendo le classiche planimetrie, i quattro punti
cardinali che ben descrivono le realtà piatte, senza spessore».
Paolo VI ha scritto: «Non sminuire in nulla la salutare
dottrina di Cristo è eminente forma di carità verso le anime».
«La
fermezza della Chiesa, nel difendere le norme morali universali e immutabili,
non ha nulla di mortificante. È solo al servizio della vera libertà dell'uomo:
dal momento che non c'è libertà al di fuori o contro la verità, la difesa
categorica, ossia senza cedimenti e compromessi, delle esigenze assolutamente
irrinunciabili della dignità personale dell'uomo, deve dirsi via e condizione
per l'esistere stesso della libertà.
Questo servizio è rivolto a ogni uomo,
considerato nell'unicità e nell'irripetibilità del suo essere ed esistere: solo
nell'obbedienza alle norme morali universali l'uomo trova piena conferma della
sua unicità di persona e possibilità di vera crescita morale. E, proprio per
questo, tale servizio è rivolto a tutti gli uomini: non solo ai singoli, ma
anche alla comunità, alla società come tale.
«Nei regimi assolutisti o dittatoriali, spiega Tocqueville,
il dispotismo colpisce grossolanamente il corpo. Lo incatena, lo sevizia, lo
sopprime con gli arresti e le torture, le prigioni e le Inquisizioni. Con le
decapitazioni, le impiccagioni, le fucilazioni, le lapidazioni. E così facendo
ignora l’anima che intatta può levarsi sulle carni martoriate, trasformare la
vittima in eroe. Nei regimi inertemente democratici, al contrario, il
dispotismo ignora il corpo e si accanisce sull’anima. Perché è l’anima che
vuole incatenare, seviziare, sopprimere. Alla vittima, infatti, non dice: “O la
pensi come me o muori”. Dice: “Scegli. Sei libero di non pensare o di pensarla
come me. E se la penserai in maniera diversa da me, io non ti punirò con gli
autodafé. Il tuo corpo non lo toccherò, i tuoi beni non li confischerò, i tuoi
diritti politici non li lederò. Potrai addirittura votare. Ma non potrai essere
votato perché io sosterrò che sei un essere impuro, un pazzo o un delinquente.
Ti condannerò alla morte civile, ti renderò un fuorilegge, e la gente non ti
ascolterà. Anzi, per non essere a loro volta puniti coloro che la pensano come
te ti abbandoneranno”.
Poi aggiunge che nelle democrazie inanimate, nei regimi
inertemente democratici, tutto si può dire fuorché la verità. Tutto si può
esprimere, tutto si può diffondere, fuorché il pensiero che denuncia la verità.
Perché la verità mette con le spalle al muro. Fa paura. I più cedono alla paura
e, per paura, intorno al pensiero che denuncia la verità tracciano un cerchio
invalicabile. Un’invisibile ma insormontabile barriera all’interno della quale
si può soltanto tacere o unirsi al coro. Se lo scrittore scavalca quel cerchio,
supera quella barriera, il castigo scatta alla velocità della luce. Peggio: a
farlo scattare sono proprio coloro che in segreto la pensano come lui ma che
per prudenza si guardano bene dal contestare chi lo anatemizza e lo scomunica.
Infatti per un po’ tergiversano, danno un colpo al cerchio ed uno alla botte. Poi
tacciono e terrorizzati dal rischio che anche quell’ambiguità comporta
s’allontanano in punta di piedi, abbandonano il reo alla sua sorte. (…)
«Andare al cinema è sempre un’esperienza formativa, anche
se il film in questione è “It” (avrei molte domande da fare ad Andrés
Muschietti). La sala è piena ma, nonostante il film sia vietato ai minori di 14
anni, l’età media è tremendamente bassa. Non è la sede per interrogarsi sul
ruolo dei genitori nella scelta del titolo, e neppure sulla loro assenza in
sala. Non è la sede per discutere le scelte commerciali del cinema, anche se la
crisi (drammatica) del settore non giustifica la vendita dei biglietti con le
fette di salame sugli occhiali 3d…» Per il blog di Costanza Miriano, una
riflessione su giovani e tecnologia.
“Tutte le norme dell’esistenza umana inculcate in ognuno
di noi ancor prima che cominciamo ad avere coscienza di noi stessi venivano
deliberatamente e scrupolosamente calpestate. (…) Una persona normale è
scioccata dalla brutalità e dalle menzogne? Allora ve ne forniranno in tale
quantità che dovrete chiamare a raccolta tutte le vostre forze interiori per
ricordare che esiste, esiste un’altra realtà! Esistono persone perbene, e sono
la maggioranza, esistono interi paesi nei quali il nero si chiama nero e il
bianco bianco, e ciò non viene perseguito per legge. Ma tutto questo vi
sembrerà così lontano che solo con un grande sforzo di volontà riuscirete a
conservare quella che era sempre stata la vostra normale scala di valori.”
Si è
spenta nel silenzio Irina Borisovna Ratushinskaya, dissidente sovietica,
poetessa e scrittrice. Si è spenta il 5 luglio 2017, a Mosca, ma solo oggi
vengo a sapere della sua morte, e ciò avviene per puro caso. Ho ripreso in mano
“Grigio è il colore della speranza”, la copia ormai un po’ ingiallita (è l’edizione
Rizzoli 1989) del libro che racconta i quattro anni di prigionia che Irina Ratushinskaya
ha dovuto scontare in un campo di lavoro.
Il 18 dicembre 1986, dopo essere
stata liberata grazie a una forte mobilitazione dell’opinione pubblica
internazionale, Irina aveva ottenuto il permesso di emigrare con il marito in
Gran Bretagna.
Uno sfoglio veloce, poi la ricerca su internet: avrà trovato
pace oggi Irina? New York
Times, The Guardian, Washington Post, The Economist, Telegraph, The Times, The
Boston Globe, The Australian Financial Review: tutti danno notizia della sua
morte. In Italia solo Tempi, con un articolo di Sandro Fusina, si
ricorda della “poetessa simbolo della malvagità sovietica”.
Joseph Pulitzer scriveva: “presentalo brevemente così che
possano leggerlo, chiaramente così che possano apprezzarlo, in maniera
pittoresca che lo ricordino e soprattutto accuratamente, così che possano
essere guidati dalla sua luce.” Fare buon giornalismo oggi significa affrontare
sfide inedite, apparentemente insuperabili. La crisi della carta stampata
precarizza ulteriormente un lavoro delicato, perennemente in bilico fra
esigenze di verità e di opportunità. Ma i colpevoli (no, non i fattori) di
questa crisi sono molteplici.
A molti fa comodo che si perda l’abitudine della lettura
mattutina del giornale, con i riti sociali ad essa annessi. Le chiacchiere in
edicola, il confronto al bar, le conversazioni nate per caso sui mezzi pubblici
sbirciando il giornale del vicino, gli articoli sottolineati e ritagliati per
l’amico, o letti e commentati in classe. Con la bugia del progresso digitale,
nel quale il calo delle vendite del cartaceo non è minimamente equilibrato
dall’aumento delle vendite digitali, si taglia la filiera relazionale
dell’informazione.
Se provo a scavare tra i ricordi (non senza fatica visto
che il mio abituale disordine appare prepotentemente anche nella memoria) trovo
alcune parole ricorrenti: sogno, fantasia, utopia. Molti sogni, intesi non solo
come frammenti in fuga da un mondo vorticoso e turbolento, l’inconscio, che
durante la notte spalanca per poco le sue porte, liberandone alcuni. Ma anche
come il motore silenzioso delle nostre azioni coscienti. Il mondo onirico è
tangente al mondo reale: lo incrocia e lo supera in una corsa veloce verso un
futuro che ricorda sempre il passato.
Mi si perdoni l’eccessiva semplificazione, ma nella mia
mente la fantasia è presente come i mattoni, lo scalpello, la pala: come tutti
gli attrezzi necessari per delineare i contorni di un progetto solo sognato e
trasformarlo in un’utopia. Solo facendo rotta verso una meta utopica posso
sperare di approdare in un paese sconosciuto e bellissimo. Sogno, fantasia,
utopia: sono parole che appartengono a tutti (mi auguro). Forse, appartengono
un poco di più a noi giovani.
Nascono nell’adolescenza (ma anche prima),
aiutati magari dai pomeriggi trascorsi in compagnia dei primi libri
d’avventura, regolano il cuore su un ritmo fatto di attese, speranze e slanci
(non si esclude la comparsa della tachicardia) e da quel momento niente è più
come prima.
Queste tre parole sono come occhiali magici che
permettono di guardare la realtà ma di vedere oltre, con speranza, con cuore
aperto alle mille possibilità. Ecco, visto che parliamo di sogni, mi piacerebbe
una Chiesa capace di sognare. Mi piacerebbe respirare nelle nostre chiese quel
profumo d’infinito che ritrovo nelle pagine di don Tonino Bello, un prete
capace di vedere il mondo con gli occhi della poesia.
Il mondo denigra ogni
giorno di fronte a noi giovani la responsabilità, gli affetti duraturi,
l’onestà, la ricerca della verità, la famiglia, la fede: tutto ciò che
rappresenta le nostre radici, la stabilità e la sfera spirituale è
rappresentato come noioso e retrogrado. Ma noi dobbiamo trovare le parole, i
progetti, anche la poesia, per raccontarci che le vere avventure sono quelle
che partono da progetti veri, duraturi. I viaggi più belli sono quelli pieni di
senso!
Eppure c’è molta quiete… Strade semideserte, piazze vuote
e silenziose, giornali allineati su notizie quasi prevedibili ma rassicuranti… E’
la pace? Guardando più attentamente si vedono foglie secche fra i grandi
cespugli verde smeraldo, s’ode che il silenzio della città è in realtà un
respiro soffocato, si scorge il filo rosso che lega le notizie allineate nel
quadro del pensiero unico… Con questa situazione di calma apparente si apre “Un
ponte tra le Valli”…
La libertà si può imprigionare. Certo, non lo si può fare
in un giorno solo: tutti se ne accorgerebbero! Occorre farlo lentamente, oserei
dire dolcemente. Chi prova a svelare l’inganno dietro al politicamente corretto,
chi infrange il sorriso di cartapesta, viene rapidamente reso inoffensivo:
“E’ solo un retrogrado, è contro tutto, è ignorante, è folle…” Le pressioni
vengono da lontano, travalicano i confini nazionali ed i soliti palazzi del
potere. La battaglia in gioco è più grande di semplici elezioni.A chi interessa più amministrare solo i
soldi, quando si possono amministrare le menti?
I primi cooptati dal pensiero
unico (non tutti ovviamente, qualcuno ha la forza di opporsi accettando di
scomparire dalla scena) sono i personaggi famosi, poi i politici, e poi, perché
no, magari anche qualche uomo di Chiesa più abituato alle luci della ribalta.
Un
piccolo esempio totalmente inventato? Gastone è un ladro. Certo, non è un assassino, ma è
un ladro abile e furbo, che appena può ruba ciò che gli interessa, e non lo fa
per necessità estrema perché è già molto ricco. Il tuo cantante preferito gli
dedica una canzone: “Il furto del cuore”, dove racconta di un ladro innamorato,
che ruba cuori e regala amore. Una canzone struggente. Mah, la realtà non è
proprio così… Però dai, è solo una canzone: canta e lascia stare. I giornali
(tutti, o quasi) lo intervistano, raccontando di un uomo di successo, un uomo
affascinante che ha saputo prendere in mano il suo destino. Mah, sarei tentato
di prendere in mano una penna e scrivere una lettera: non mi sembrava questa la
realtà. Però tanto poi non mi ascolta nessuno, lasciamo stare. I politici si
muovono per fare una legge che consenta a Gastone (ricordo, nome e situazione
di pura fantasia) di rubare nella piena legalità. Mah, con tutti i problemi del
mio Paese forse non è la priorità, forse è proprio sbagliato. Dovrei scrivere…
Ma no dai, lo farà qualcun altro. Ecco un’intervista a Mons. In Vino Veritas,
nella quale il porporato ammette che la Chiesa dovrebbe fare un passo avanti e
superare la dottrina secondo la quale rubare è un peccato. Mah, adesso basta,
ora prendo la penna e mi faccio sentire. Come, non c’è più la penna?