“Il loro amore moriva
come quello di tutti
non per una cosa astratta
come la famiglia
loro scelsero la morte
per una cosa vera
come la famiglia…”
(“Dilemma”, Giorgio Gaber)
«Voi parlate
tanto dei vostri figli, ma che mondo lasciate loro?». Greta Thunberg compare sul
maxi schermo e attacca i politici, colpevoli di aver creato e di continuare a
promuovere un modello iniquo di società, dove pochi si arricchiscono sulle
spalle di tanti. «Il cuore del messaggio di Greta non è tanto l’ambiente,
quanto un mondo nel quale si sono rotti tutti i legami. Quello fra l’uomo e la
natura, certo, ma prima di tutto quelli fra gli uomini, come il legame
transgenerazionale», commenta don Luca Massari al termine del video.
È giovedì sera, siamo nell’aula magna del seminario vescovile di Pavia. Fuori diluvia: per raggiungere il seminario abbiamo attraversato le viuzze longobarde trasformate in fiumi. Si apre così la seconda serata de “La Quinta Direzione”, il cammino per i giovani che si presenta come: «Un percorso rivolto a chi non si accontenta di cercare seguendo le classiche planimetrie, i quattro punti cardinali che ben descrivono le realtà piatte, senza spessore».
È giovedì sera, siamo nell’aula magna del seminario vescovile di Pavia. Fuori diluvia: per raggiungere il seminario abbiamo attraversato le viuzze longobarde trasformate in fiumi. Si apre così la seconda serata de “La Quinta Direzione”, il cammino per i giovani che si presenta come: «Un percorso rivolto a chi non si accontenta di cercare seguendo le classiche planimetrie, i quattro punti cardinali che ben descrivono le realtà piatte, senza spessore».
Foto di Harut Movsisyan da Pixabay |
La Svezia di
Greta è un ottimo punto di osservazione per questa serata dal titolo “Io, non
più io”: «Qui, nell’inverno del 1972 – spiega don Luca –, si progettò la
famiglia del futuro. Con un obiettivo: rendere ogni individuo autonomo,
completamente slegato e indipendente dai vecchi legami tradizionali».
Sul maxi schermo compaiono ora alcune immagini tratte dal documentario “La teoria svedese dell’amore”, di Erik Cardini: liberando gli uomini gli uni dagli altri, rompendo i vecchi legami parentali, solo i rapporti veri ci dovrebbero tenere uniti. Senza la dipendenza, emerge la piena libertà di stare insieme.
Oggi in Svezia oltre il 50% delle persone vive in solitudine, e ci sono persone che vengono trovate morte nel loro appartamento dopo due anni dal decesso. Nessuno si cura di loro: non i parenti, non i vicini di casa.
Sul maxi schermo compaiono ora alcune immagini tratte dal documentario “La teoria svedese dell’amore”, di Erik Cardini: liberando gli uomini gli uni dagli altri, rompendo i vecchi legami parentali, solo i rapporti veri ci dovrebbero tenere uniti. Senza la dipendenza, emerge la piena libertà di stare insieme.
Oggi in Svezia oltre il 50% delle persone vive in solitudine, e ci sono persone che vengono trovate morte nel loro appartamento dopo due anni dal decesso. Nessuno si cura di loro: non i parenti, non i vicini di casa.
Foto di Gerd Altmann da Pixabay |
«Tutto è cambiato anche
da noi con il ’68 – ricorda don Luca –, quando si è reclamata con forza
l’autonomia. Per la legge del pendolo però, si è passati da un mondo così
interconnesso da essere a volte opprimente, a un mondo dove l’individualismo è
così forte da annullare la storia di chi ci circonda. Ma l’interdipendenza è il
nome del nostro essere uomini, e rinunciare ai nostri legami significa
rinunciare alla nostra felicità».
In un mondo del lavoro intriso di individualismo, compromessi, ideologia, come non sentirsi dei falliti dato che fuori da questa logica sembra non esserci spazio? «L’individualismo porta alla morte. Nel lavoro, come nella vita, non conta la posizione raggiunta, ma l’essere rimasti fedeli a se stessi. E la felicità passa da lì. Un individualista sarà sempre lontano da se stesso, ma solo chi conosce e rinnega se stesso trova l’autenticità. Bisogna coltivare la propria vita al di fuori di un lavoro opprimente, arricchendola di esperienze luminose in diocesi, in parrocchia, nel volontariato, con gli amici. E ogni tanto bisogna chiedersi: ho scelto questo lavoro perché posso fare del bene agli altri, perché sono utile, perché mi piace, o solamente per una sicurezza economica?».
In un mondo del lavoro intriso di individualismo, compromessi, ideologia, come non sentirsi dei falliti dato che fuori da questa logica sembra non esserci spazio? «L’individualismo porta alla morte. Nel lavoro, come nella vita, non conta la posizione raggiunta, ma l’essere rimasti fedeli a se stessi. E la felicità passa da lì. Un individualista sarà sempre lontano da se stesso, ma solo chi conosce e rinnega se stesso trova l’autenticità. Bisogna coltivare la propria vita al di fuori di un lavoro opprimente, arricchendola di esperienze luminose in diocesi, in parrocchia, nel volontariato, con gli amici. E ogni tanto bisogna chiedersi: ho scelto questo lavoro perché posso fare del bene agli altri, perché sono utile, perché mi piace, o solamente per una sicurezza economica?».
Foto di analogicus da Pixabay |
La teoria svedese
dell’amore oggi pervade tutta l’Europa, e le vicende di Charlie Gard, Alfie
Evans, Vincent Lambert, e di chissà quanti altri martiri sconosciuti
all’opinione pubblica, sono state segnate a questa ideologia antiumana. Come
essere nel mondo, in questo mondo, senza perdere la speranza?
«Vivendo nella Chiesa, non come rifugio ma come presenza creativa. Animando la vita della propria comunità, proponendo spunti di riflessione alla propria comunità. Bastano pochi giovani per organizzare una mostra sul diritto alla vita, su ciò che sta accadendo nel mondo riguardo la dignità umana, e così si può sensibilizzare una comunità che può rischiare di diventare indifferente. Può nascere una compagnia con la quale attraversare le vicende chiaroscurali della storia. Una compagnia che vince l’indifferenza e va in missione per amare il mondo, senza approvarlo. Animando la vita della nostra comunità parrocchiale, anche su questi temi, potremo essere presenza profetica nel mondo».
«Vivendo nella Chiesa, non come rifugio ma come presenza creativa. Animando la vita della propria comunità, proponendo spunti di riflessione alla propria comunità. Bastano pochi giovani per organizzare una mostra sul diritto alla vita, su ciò che sta accadendo nel mondo riguardo la dignità umana, e così si può sensibilizzare una comunità che può rischiare di diventare indifferente. Può nascere una compagnia con la quale attraversare le vicende chiaroscurali della storia. Una compagnia che vince l’indifferenza e va in missione per amare il mondo, senza approvarlo. Animando la vita della nostra comunità parrocchiale, anche su questi temi, potremo essere presenza profetica nel mondo».
“Perciò il
popolo messianico, pur non comprendendo effettivamente l'universalità degli
uomini e apparendo talora come un piccolo gregge, costituisce tuttavia per
tutta l'umanità il germe più forte di unità, di speranza e di salvezza.
Costituito da Cristo per una comunione di vita, di carità e di verità, è pure
da lui assunto ad essere strumento della redenzione di tutti e, quale luce del
mondo e sale della terra (cfr. Mt 5,13-16), è inviato a tutto il mondo.” (“Lumen
Gentium”, Paolo VI, 21 novembre 1964)
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