Come in tempi di dame e cavalieri, in tempi di castelli e
signori, in tempi di oscuri nemici e grandi battaglie. C’è un respiro medievale
nell’incontro di violino, viola, violoncello e mandolino, in quel sapore antico
che gli archi regalano ai brani di “Milva canta Merini”.
Sono le parole della grande
poetessa italiana del Novecento, sono le musiche di Giovanni Nuti, è la voce di
Milva: questo album, da ascoltare ad occhi chiusi, fin dalle prime note rivela
un sentiero sconosciuto, che attira indietro nel tempo.

«Sono nata il ventuno a
primavera ma non sapevo che nascere folle, aprire le zolle potesse scatenar
tempesta»,
sono le parole manifesto di un’intera vita di lucida follia. Alda Merini è
stata una poetessa, è stata un’artista, perché ha saputo intravedere nelle
pieghe del reale il vero. E lo ha raccontato al mondo con la forza della
poesia, con la sua arte più sincera. Forse la rugiada che fa brillare l’erba al
mattino è il pianto di Proserpina?
Certo ci sono assonanze e vibrazioni che
sfuggono all’occhio umano, occhio che, se staccato dall’anima, non è più capace
di cogliere la ricchezza. E l’anima di Alda era troppo sensibile e irrequieta
per non lasciarsi toccare, afferrare, spintonare e ferire dalla vita.