Roma, 30 gennaio 2016.
“Care famiglie, buonasera!
scende ormai la sera sulla nostra assemblea. È l’ora in
cui si fa volentieri ritorno a casa per ritrovarsi alla stessa mensa, nello
spessore degli affetti, del bene compiuto e ricevuto, degli incontri che
scaldano il cuore e lo fanno crescere, vino buono che anticipa nei giorni dell’uomo
la festa senza tramonto.
È anche l’ora più pesante per chi si ritrova a tu per tu
con la propria solitudine, nel crepuscolo amaro di sogni e di progetti
infranti: quante persone trascinano le giornate nel vicolo cieco della
rassegnazione, dell’abbandono, se non del rancore; in quante case è venuto meno
il vino della gioia e, quindi, il sapore — la sapienza stessa — della vita...
Degli uni e degli altri questa sera ci facciamo voce con la nostra preghiera,
una preghiera per tutti.
È significativo come - anche nella cultura individualista
che snatura e rende effimeri i legami - in ogni nato di donna rimanga vivo un
bisogno essenziale di stabilità, di una porta aperta, di qualcuno con cui
intessere e condividere il racconto della vita, di una storia a cui
appartenere. La comunione di vita assunta dagli sposi, la loro apertura al dono
della vita, la custodia reciproca, l’incontro e la memoria delle generazioni,
l’accompagnamento educativo, la trasmissione della fede cristiana ai figli...:
con tutto questo la famiglia continua ad essere scuola senza pari di umanità,
contributo indispensabile a una società giusta e solidale (cfr Esort. ap.
Evangelii gaudium, 66-68). E più le sue radici sono profonde, più nella vita è
possibile uscire e andare lontano, senza smarrirsi né sentirsi stranieri ad
alcuna terra. Quest’orizzonte ci aiuta a cogliere l’importanza dell’Assemblea
sinodale che si apre domani. (…)” (Papa Francesco, Veglia di preghiera in
preparazione al Sinodo sulla Famiglia, 4 ottobre 2014, Piazza San Pietro, Roma)
“ (…) Continuate dunque, senza lasciarvi scoraggiare
dalle difficoltà che incontrate. Il rapporto educativo è per sua natura una
cosa delicata: chiama in causa infatti la libertà dell’altro che, per quanto
dolcemente, viene pur sempre provocata a una decisione. Né i genitori, né i
sacerdoti o i catechisti, né gli altri educatori possono sostituirsi alla
libertà del fanciullo, del ragazzo o del giovane a cui si rivolgono. E
specialmente la proposta cristiana interpella a fondo la libertà, chiamandola
alla fede e alla conversione. Oggi un ostacolo particolarmente insidioso
all’opera educativa è costituito dalla massiccia presenza, nella nostra società
e cultura, di quel relativismo che, non riconoscendo nulla come definitivo,
lascia come ultima misura solo il proprio io con le sue voglie, e sotto
l’apparenza della libertà diventa per ciascuno una prigione, perché separa
l'uno dall'altro, riducendo ciascuno a ritrovarsi chiuso dentro il proprio
"io". Dentro a un tale orizzonte relativistico non è possibile,
quindi, una vera educazione: senza la luce della verità; prima o poi ogni
persona è infatti condannata a dubitare della bontà della sua stessa vita e dei
rapporti che la costituiscono, della validità del suo impegno per costruire con
gli altri qualcosa in comune.
E’ chiaro dunque che non soltanto dobbiamo cercare di
superare il relativismo nel nostro lavoro di formazione delle persone, ma siamo
anche chiamati a contrastare il suo predominio nella società e nella cultura.
E’ molto importante perciò, accanto alla parola della Chiesa, la testimonianza
e l’impegno pubblico delle famiglie cristiane, specialmente per riaffermare
l’intangibilità della vita umana dal concepimento fino al suo termine naturale,
il valore unico e insostituibile della famiglia fondata sul matrimonio e la
necessità di provvedimenti legislativi e amministrativi che sostengano le
famiglie nel compito di generare ed educare i figli, compito essenziale per il
nostro comune futuro. Anche per questo impegno vi dico un grazie cordiale. (…)”
(Benedetto XVI, apertura del Convegno Ecclesiale della diocesi di Roma su
“Famiglia e comunità cristiana”, 6 giugno 2005, Basilica di San Giovanni in
Laterano, Roma)
“ (…) A ciò si deve aggiungere poi una ulteriore
riflessione di particolare importanza nel tempo presente. Non raramente
all'uomo e alla donna di oggi, in sincera e profonda ricerca di una risposta ai
quotidiani e gravi problemi della loro vita matrimoniale e familiare, vengono
offerte visioni e proposte anche seducenti, ma che compromettono in diversa
misura la verità e la dignità della persona umana. E' un'offerta sostenuta
spesso dalla potente e capillare organizzazione dei mezzi di comunicazione
sociale, che mettono sottilmente in pericolo la libertà e la capacità di
giudicare con obiettività.
Molti sono già consapevoli di questo pericolo in cui
versa la persona umana ed operano per la verità. La Chiesa, col suo
discernimento evangelico, si unisce ad essi, offrendo il proprio servizio alla
verità, alla libertà e alla dignità di ogni uomo e di ogni donna. (…) Si rende,
pertanto, necessario ricuperare da parte di tutti la coscienza del primato dei
valori morali, che sono i valori della persona umana come tale. La
ricomprensione del senso ultimo della vita e dei suoi valori fondamentali è il
grande compito che si impone oggi per il rinnovamento della società. Solo la
consapevolezza del primato di questi valori consente un uso delle immense
possibilità, messe nelle mani dell'uomo dalla scienza, che sia veramente
finalizzato alla promozione della persona umana nella sua intera verità, nella
sua libertà e dignità. La scienza è chiamata ad allearsi con la sapienza.” (Esortazione
apostolica “Familiaris Consortio”, Giovanni Paolo II, Dato a Roma, presso san
Pietro, il 22 novembre, Solennità di N. S. Gesù Cristo Re dell'universo,
dell'anno 1981, quarto del Pontificato.)
“Dimmi, Giuseppe, quand'è che hai conosciuto Maria?
Forse, un mattino di primavera, mentre tornava dalla
fontana del villaggio, con l'anfora sul capo e con la mano sul fianco snello
come lo stelo di un fiordaliso?
O forse, un giorno di sabato, mentre con le fanciulle di
Nazareth conversava in disparte sotto l'arco della Sinagoga?
O forse, un meriggio d'estate, in un campo di grano,
mentre, abbassando gli occhi splendidi per non rivelare il pudore della
povertà, si adattava all'umiliante mestiere di spigolatrice?
Quando ti ha ricambiato il sorriso e ti ha sfiorato il
capo con la prima carezza, che forse era la sua prima benedizione e tu non lo
sapevi... e poi, tu, nella notte, hai intriso il cuscino con lacrime di
felicità?
Ti scriveva lettere d'amore?
Forse sì!
E il sorriso, con cui accompagni il cenno degli occhi
verso l'armadio delle tinte e delle vernici, mi fa capire che in uno di quei
barattoli vuoti, che ormai non si aprono più, ne conservi ancora qualcuna!
Poi, una notte, hai preso il coraggio a due mani, sei
andato sotto la sua finestra, profumata di basilico e di menta, e le hai
cantato, sommessamente, le strofe del Cantico dei Cantici:
"Alzati, amica mia, mia bella e vieni!
Perché, ecco, l'inverno è passato, è cessata la pioggia e
se n'è andata.
I fiori sono apparsi nei campi, il tempo del canto è
tornato e la voce della tortora ancora si fa sentire nella nostra campagna.
Il fico ha messo fuori i primi frutti e le viti fiorite
spandono fragranza.
Alzati, amica mia, mia bella e vieni!
O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei
nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché
la tua voce è soave e il tuo viso è leggiadro".
E la tua amica, la tua bella, la tua colomba si è alzata
davvero.
È venuta sulla strada, facendoti trasalire.
Ti ha preso la mano nella sua e, mentre il cuore ti
scoppiava nel petto, ti ha confidato lì, sotto le stelle, un grande segreto.
Solo tu, il sognatore, potevi capirla.
Ti ha parlato di:
Jahvé, di un Angelo del Signore, di un Mistero nascosto
nei secoli e ora nascosto nel suo grembo, di un progetto più grande
dell'universo e più alto del firmamento, che vi sovrastava.
Poi, ti ha chiesto di uscire dalla sua vita, di dirle
addio, e di dimenticarla per sempre.
Fu, allora, che la stringesti per la prima volta al cuore
e le dicesti tremando:
"Per te, rinuncio volentieri ai miei piani.
Voglio condividere i tuoi, Maria, purché mi faccia stare
con te".
Lei ti rispose di sì, e tu le sfiorasti il grembo con una
carezza: era la tua prima benedizione sulla Chiesa nascente. [...]
E io penso che hai avuto più coraggio tu a condividere il
progetto di Maria, di quanto ne abbia avuto lei a condividere il progetto del
Signore.
Lei ha puntato tutto sull'onnipotenza del Creatore.
Tu hai scommesso tutto sulla fragilità di una creatura.
Lei ha avuto più fede, ma tu hai avuto più speranza.
La carità ha fatto il resto, in te e in lei.” (don Tonino
Bello, “Lettera a Giuseppe”)