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giovedì 5 ottobre 2017

Irina Ratushinskaya: “Grigio è il colore della speranza”

Tutte le norme dell’esistenza umana inculcate in ognuno di noi ancor prima che cominciamo ad avere coscienza di noi stessi venivano deliberatamente e scrupolosamente calpestate. (…) Una persona normale è scioccata dalla brutalità e dalle menzogne? Allora ve ne forniranno in tale quantità che dovrete chiamare a raccolta tutte le vostre forze interiori per ricordare che esiste, esiste un’altra realtà! Esistono persone perbene, e sono la maggioranza, esistono interi paesi nei quali il nero si chiama nero e il bianco bianco, e ciò non viene perseguito per legge. Ma tutto questo vi sembrerà così lontano che solo con un grande sforzo di volontà riuscirete a conservare quella che era sempre stata la vostra normale scala di valori.” 

Si è spenta nel silenzio Irina Borisovna Ratushinskaya, dissidente sovietica, poetessa e scrittrice. Si è spenta il 5 luglio 2017, a Mosca, ma solo oggi vengo a sapere della sua morte, e ciò avviene per puro caso. Ho ripreso in mano “Grigio è il colore della speranza”, la copia ormai un po’ ingiallita (è l’edizione Rizzoli 1989) del libro che racconta i quattro anni di prigionia che Irina Ratushinskaya ha dovuto scontare in un campo di lavoro. 

Il 18 dicembre 1986, dopo essere stata liberata grazie a una forte mobilitazione dell’opinione pubblica internazionale, Irina aveva ottenuto il permesso di emigrare con il marito in Gran Bretagna. 

Uno sfoglio veloce, poi la ricerca su internet: avrà trovato pace oggi Irina? New York Times, The Guardian, Washington Post, The Economist, Telegraph, The Times, The Boston Globe, The Australian Financial Review: tutti danno notizia della sua morte. In Italia solo Tempi, con un articolo di Sandro Fusina, si ricorda della “poetessa simbolo della malvagità sovietica”. 

Grigio è il colore della speranza