«Cento morti solo ieri, metà dei quali civili, incursioni
aeree sopra Donetsk, caccia ed elicotteri di Kiev che sorvolano Lugansk, il
Donbass ribelle sotto l’urlo dell’esercito ucraino, quattro osservatori
dell’Osce nelle mani delle milizie filo-russe mentre a Kharkov si recuperano le
salme del fotoreporter italiano Andrea Rocchelli e del suo collega Andrej
Mironov. Difficile continuare a chiamare quella ucraina una "guerra a bassa
intensità". Difficile non definirla una guerra civile».
Così scrive, il 28
maggio del 2014, Giorgio Ferrari, dalle pagine degli Esteri di Avvenire. Il suo
pezzo è, per molti, un pugno nello stomaco. Di fronte a questa fotografia
drammatica, la retorica rassicurante del “noi non c’entriamo” non rassicura
più. E la consapevolezza che il conflitto ucraino sia cosa alquanto seria si fa
piena. Il conflitto riguarda anche l’Italia, riguarda tutta l’Europa. In mezzo
agli scontri armati ci sono civili indifesi, ci sono anziani e bambini.

Il 15
aprile 2016 la BBC realizza un documentario, rilanciato in Italia da Leone
Grotti sulle pagine di Tempi, sull’autoproclamata Repubblica del popolo di
Donetsk. Grotti scrive: «La guerra civile in Ucraina va avanti dall’aprile del
2014. Dopo due anni sono morte più di 9 mila persone, mentre 3,5 milioni
necessitano di aiuti alimentari e sanitari per sopravvivere. L’Occidente, che
prima ha soffiato sul fuoco e poi ha favorito una riconciliazione tra Mosca e
Kiev solo quando la situazione era ormai degenerata, ha promosso gli accordi di
pace di Minsk II: firmati nel febbraio del 2015, non sono mai stati davvero
implementati».
I civili raccontano: «È difficile quando giorno dopo giorno
cadono le bombe e volano i proiettili, è davvero difficile. Ma continuiamo a
vivere qui». A Oleksandrivka, territorio ribelle, ad appena 800 metri dal
confine dove si spara ancora, c’è una scuola. All’entrata una cartello
emblematico: «Sono vietate le armi all’interno». L’insegnante, Valentina
Cherkas, ha una sola parola per descrivere quello che sta succedendo: «Follia.
Io sono ucraina ma il Donbass è la mia terra. È come se mi avessero tagliato a
metà».
Ancora una volta, e in questo la guerra non si tradisce mai, i civili si
ritrovano in una strage. Nicola Lombardozzi, inviato a Mosca di Repubblica, il
31 gennaio del 2015 scrive: «Muoiono ancora civili nella guerra di Ucraina,
questa volta anche cinque anziane pensionate straziate da un proiettile
d'artiglieria ucraino a Donetsk mentre facevano la coda per la distribuzione di
pacchi di aiuti umanitari: coperte, qualche scatoletta, poveri generi di
conforto. Insieme ad altri passanti, beccati da proiettili vaganti nelle strade
del capoluogo ribelle del Donbass, le donne di Donetsk portano a 12 il numero
quotidiano delle vittime innocenti in città. Da maggio ad oggi siamo già a quasi
seimila».
