martedì 10 novembre 2020

Processo Rocchelli, i riflettori rimangano accesi

Conferenze stampa e annunci di un futuro pieno di soddisfazioni. Succede questo in Ucraina attorno a Vitaly Markiv, condannato in primo grado (il 12 luglio del 2019) a 24 anni di reclusione per la morte del fotoreporter Andy Rocchelli, e assolto in secondo grado (il 3 novembre del 2020) per non aver commesso il fatto, secondo l’articolo 530 comma 2 del codice di procedura penale. 

È necessario attendere le motivazioni della sentenza, che saranno depositate entro 90 giorni, ma intanto cosa succede? La mobilitazione ucraina non si è mai fermata, mentre in Italia tutto tace. 

Arsen Avakov e Vitaly Markiv

Il 3 novembre in aula a Milano era presente ancora una volta il Ministro dell’Interno ucraino Arsen Avakov, che aveva seguito di persona la sentenza di primo grado e quasi tutte le udienze di secondo grado. Fuori dal Tribunale foto con Markiv e con i sostenitori presenti, subito rilanciate sul profilo Twitter del Ministro: «Felici! Gloria all'Ucraina!», il primo commento. Poi, la mattina successiva, la foto di Markiv che in uniforme stringe il pugno in segno di vittoria accanto al Ministro, su un jet privato diretto a Kiev. 

Poche ore dopo un video, Markiv si fa un selfie in piazza Santa Sofia a Kiev, davanti a uno striscione così grande da coprire l’intera faccia di un palazzo: #FreeMarkiv si legge. E ancora il ministro twitta: «L’avevamo promesso alla mamma». L’arrivo all'aeroporto di Kiev è stato ripreso da diverse testate nazionali, con il soldato Markiv che appena sceso dall'aereo sventola la bandiera ucraina, riceve un grande mazzo di fiori, e tiene una conferenza stampa. 

Presidente Ucraina

Intanto su Twitter Volodymyr Zelens'kyj, Presidente dell’Ucraina, scriveva: «Accolgo con favore la decisione del tribunale italiano di assolvere la guardia nazionale ucraina Vitaliy Markiv. La sua liberazione è una vittoria della giustizia! #FreeMarkiv l'hashtag può essere lasciato per la storia. Grato a tutta la squadra che ha lavorato per questa vittoria!», taggando i profili ufficiali del premier Giuseppe Conte e del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Una mobilitazione imponente, che il Ministro Avakov aveva confermato fuori dal Tribunale anche a Ossigeno per l’informazione: «L’Ucraina non abbandona i suoi soldati». Una mobilitazione comprensibile, ma in Italia? 

Il basso profilo scelto dalla famiglia Rocchelli, che ha seguito tutte le udienze portando sulle proprie spalle un dolore profondo e silenzioso, percepibile solo negli sguardi e nelle parole (poche e sempre misurate), non spiega la poca attenzione riservata al processo da parte delle più importanti testate, in modo particolare al secondo grado. Non per cercare un colpevole ad ogni costo: chiunque abbia parlato con i genitori di Andy sa che a loro non interessa questo. Ma per tenere i riflettori accesi su una storia che non può diventare un numero. L’UNESCO stima che negli ultimi quindici anni oltre 1200 giornalisti siano rimasti uccisi mentre facevano il loro lavoro, e in 9 casi su 10 i responsabili non sono stati accertati né puniti. 

Ucraina Markiv

Il nome di Andy è stato proiettato sulla facciata della sede Rai di viale Mazzini a Roma, assieme ai nomi di altri 80 colleghi uccisi, proprio per tenere viva nella memoria dell’opinione pubblica una realtà fotografata dalla sentenza di primo grado: i giornalisti sono come gli operatori umanitari. I giornalisti si muovono nei territori di guerra per consentire al resto del mondo di conoscere, comprendere, ricordare. Nei luoghi più sperduti e pericolosi del mondo, nelle periferie delle grandi città o nei palazzi del potere, i giornalisti sono presenti per raccontare al mondo cosa accade. Perché solo così l’opinione pubblica può sapere, può decidere, può essere libera di scegliere. 

Eppure, a parte un tweet del presidente della Camera Roberto Fico a inizio processo, le istituzioni italiane hanno taciuto. E tacciono ora. Silenzio per evitare pressioni politiche? No. Il sostituto procuratore generale lo ha ricordato in aula il 3 novembre, poco prima della sentenza: «Non si fa politica, non si prende posizione per lo stato ucraino o per i separatisti, ma si esamina soltanto un reato e la sua responsabilità». 

Roberto Fico Rocchelli

Alla storia di Andy non servono pressioni fotocopia di quelle portate avanti dallo Stato ucraino in questa lunga vicenda processuale. Ma serve oggi uno sforzo comune affinché la storia di Andy non venga dimenticata. A Pavia, la sua città natale, tutti i jersey di cemento antiterrorismo posati in centro sono stati dipinti dai ragazzi delle scuole superiori con le sue immagini e le sue parole. Oggi chiunque passeggi per la città non può fare a meno di vederli, di riconoscervi l’orrore della guerra e la speranza della pace. 

In attesa delle motivazioni della sentenza occorre ricordarlo: non c’è speranza di pace se i conflitti e le ingiustizie non vengono scoperti, compresi e raccontati da qualche giornalista. Se tra gli ingranaggi degli interessi più potenti non s’infila una penna, un taccuino o una macchina fotografica, che rompe il meccanismo della violenza. Oggi c’è un silenzio da rompere. Tocca all'Italia fare il primo passo. 

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