«Markiv aveva gli stessi compiti degli altri soldati, non aveva rapporti privilegiati con i suoi superiori, non aveva nessun potere sui comandanti dell’esercito ucraino. Siamo di fronte a una colpa d’autore, è stato presentato alla Corte il mostro perché così non può che essere lui il colpevole. Rimane però l’assordante vuoto probatorio, coperto con l’accusa di crimini contro l’umanità. Ma Pavia non è Norimberga».
Sono le ore 20.45, il Tribunale di Milano è ormai deserto e numerose luci sono state spente. Nel grande corridoio centrale risuona ancora la voce dell’avvocato Raffaele Della Valle, che sta terminando la sua lunga arringa.
Riguardo la strada dove è avvenuto l’attacco, l’avvocato Bertolini Clerici ha ripreso poi le testimonianze degli altri giornalisti presenti nel Donbass, secondo i quali «si trattava di luoghi fortemente coinvolti nei combattimenti». Per la giornalista Michela Iaccarino, sentita in primo grado, il luogo dell’attacco era un «punto nevralgico». I mortai? «Erano in dotazione anche ai filorussi – ha aggiunto l’avvocato –, è Ilaria Morani stessa a raccontarlo. I civili pativano le violenze di entrambi gli schieramenti». L’avvocato ha chiesto poi ancora una volta il sopralluogo in Ucraina e la perizia fonica sul video girato da Roguelon durante l’attacco, nel quale si sentirebbe Andrej Mironov parlare di «fuoco incrociato».
Anche l’avvocato Donatella Rapetti ha voluto riportare l’attenzione della Corte sulle parole del giornalista francese William Roguelon, sopravvissuto all’attacco: «Noi non definiamo William Roguelon un teste inattendibile, anzi, quando racconta i fatti nel 2014 è totalmente a favore della difesa. Il suo racconto però si modifica e arricchisce di dettagli nel 2019, durante il processo di primo grado, e questo fa pensare che non tutti gli elementi siano genuini.
La sentenza di Pavia racconta che i filorussi compaiono dopo l’attacco e i colpi arrivati dalla collina, questi soldati però arrivano e sparano contro il boschetto. Ma com’è possibile? Io non sparo a soggetti contro i quali sta sparando il mio nemico, nemico che si trova sulla collina Karachun».
Dura anche l'arringa dell’avvocato Raffaele Della Valle, iniziata nel pomeriggio e conclusasi, non senza qualche piccolo scontro con la Corte, alle 21: «Il punto centrale del processo di primo grado doveva essere ciò che è avvenuto alle 17.07 del 24 maggio 2014, e invece così non è stato, perché non c’è un solo elemento in grado di provare la presenza di Markiv in postazione e in servizio al momento della sparatoria».
Contestata anche l’intercettazione fatta in carcere a Pavia nel luglio 2017: «Grazie alla nuova traduzione abbiamo scoperto che Markiv non dice “abbiamo fottuto un fotoreporter”, ma “è stato fottuto un fotoreporter, mi stanno cucendo addosso la colpa”. Eppure il sostituto procuratore generale non ne ha parlato nella sua lunghissima istruttoria».
Per Della Valle: «Siamo di fronte a una colpa d’autore. Sono state gettate contro Markiv e contro l'Ucraina tutte le accuse possibili, compresa quella di crimini contro l'umanità. Certo, l'Ucraina è un piccolo staterello; avremmo assistito allo stesso processo se l'imputato fosse stato, non so, americano?». Prossima udienza il 3 novembre.
Il resoconto completo della quarta udienza e tutti gli articoli sul processo di primo grado sul sito di Ossigeno per l’informazione https://www.ossigeno.info/?s=rocchelli
(Images by Giacomo Bertoni for Ossigeno per l’informazione and Il parco di Giacomo)
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