Il direttore decide cosa esce sul giornale che dirige e cosa no. Basterebbe questo, in condizioni normali, a mettere una pietra sopra al roboante dibattito che vede contrapposto Mattia Feltri, direttore dell’Huffington Post, a Laura Boldrini, che si dichiara vittima della censura.
La vicenda è ormai nota anche ai non addetti ai lavori, ma vale la pena rifletterci sopra un istante, perché le mille voci che si rincorrono dimostrano una cosa sola: il giornalismo è una cosa seria. E il 99% di chi sta gridando contro Feltri non ha la più pallida idea di cosa sia il giornalismo.
Già, perché in questo tempo nel quale i contorni delle professioni diventano sfocati, il giornalista è sicuramente uno dei professionisti più colpiti dalla nebbia.
Partiamo dalle basi: in un giornale, chi decide cosa viene pubblicato è il direttore. Così prevede il contratto nazionale. Il direttore si confronta con il caporedattore e il caposervizio, a volte direttamente con i redattori o i collaboratori esterni, soprattutto in caso di notizie particolarmente importanti, ad esempio un’esclusiva, un reportage o un’inchiesta che finirà magari in prima pagina.
Per quanto il contratto nazionale ponga tutti i giornalisti della redazione sostanzialmente sullo stesso piano, preservando così la libertà del singolo e salvandolo dal diventare un semplice impiegato agli ordini di un capo, esiste una struttura gerarchica che consente di coordinare il lavoro dei vari settori per arrivare a sera con il giornale disegnato e le pagine chiuse.
Fuori da tutto questo, ci sono poi gli editoriali e gli articoli di fondo. In prima pagina, sulla sinistra, c’è l’editoriale. Può essere del direttore della testata, che a volte omette la firma, e dà al lettore la posizione del giornale sul tema del giorno. Può essere di una "grande firma", una firma (anche non iscritta all'albo) che non rispecchia completamente la linea del giornale ma offre un importante spunto di riflessione e apre un dibattito sul tema del giorno.
Vale per la carta, vale per l’online: il direttore, ancora una volta, decide cosa esce sul giornale che dirige e cosa no. I rapporti sono diversi: il giornalista e il direttore, seppur con posizioni differenti, sono colleghi. La grande firma esterna al giornale no, dunque possono esserci modalità differenti nella comunicazione (solitamente molto differenti), che non cambiano la sostanza.
Gian Filiberto (nome di fantasia) si sveglia una mattina e scrive un articolo di fondo. È convinto che sia un pezzo straordinario, capace di cambiare le sorti del mondo, lo invia al giornale e viene pubblicato in prima pagina la mattina successiva. No, non funziona così. O meglio, la prima parte sì, si ripete spesso, ma la seconda no. E la regola vale anche se Gian Filiberto è ricco e potente.
Il giornale non è e non può diventare la bacheca social dei potenti di turno. Potenti che, tra l’altro, possono sempre acquistare uno spazio a pagamento sul giornale, facendo felici direttore, editore e tutta la redazione di questi tempi.
Le testate giornalistiche non sono piattaforme social sulle quali chiunque può scrivere qualsiasi cosa. Perché i giornali esistono non per far credere che uno vale uno, ma per tutelare la libertà di tutti, in modo particolare dell’ultimo lettore, di quello più povero, più fragile, più solo. I giornali esistono per raccontare ciò che altrimenti non sarebbe raccontato, i giornali esistono per dare voce a chi non avrebbe voce, i giornali esistono per svelare ciò che non sarebbe svelato.
Il direttore Mattia Feltri non ha fatto altro che il proprio lavoro. Che i giornali rimangano altro rispetto ai social è garanzia di libertà per tutti.
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(Image by Alexas Fotos from Pixabay)
Sono assolutamente d'accordo con te.
RispondiEliminaLa motivazione!Non ti pubblico perché accenni una critica a mio padre. Non insulti, non calunnie. Solo una critica, un'opinione. È un comportamento professionale questo, da parte del direttore? No
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