giovedì 7 gennaio 2021

Capitol Hill, la verità ha bisogno di tempo

Io l’analisi di quanto è avvenuto ieri sera non l’ho ancora scritta, e molto probabilmente non lo farò, perché non mi occupo abbastanza di America per farlo con cognizione di causa. Ma se basta titolare «Dobbiamo proteggere la democrazia dal fascismo» per ergersi a esperti, guardate che non siamo messi bene. 

La collega Guia Soncini ha scritto su Twitter: «La mattina dopo un rivolgimento, anni fa, l'umanità sarebbe andata a comprare un giornale per capirne di più. Adesso è convinta, anche quand'ha sì e no gli strumenti culturali per fare l'orlo agli strofinacci, di poter spiegare lei le cose al mondo; quindi apre un social e lo fa». 

Una ideale conferma a quanto scritto da un’altra collega, Caterina Giojelli, che durante l’assalto a Capitol Hill ha postato su Facebook: «(ma perché la gente da due ore twitta o posta gli aggiornamenti su Capitol Hill come se fosse inviata sul posto? Cioè pensa che invece che sulla CNN ci informiamo sui social di Eleonora da Settimo Milanese?)». 

Sì, perché di fronte a fatti di questa portata il giornalismo è l’unico porto sicuro nel quale cercare risposte

Capitol Hill

Non è retorica, non è corporativismo, semplicemente sono troppi gli interrogativi per pensare che basti vedere qualche immagine su un social per comprendere. Anche le immagini che mostrano gli ultimi istanti di vita di Ashli Babbit, la veterana dell’aeronautica colpita a morte da un agente della sicurezza a Capitol Hill, pretendono spiegazioni. E la confusione emotiva e tumultuosa (che non è mai libertà) di queste ore non fa che allontanare il lettore dalla verità dei fatti. 

Qualsiasi giornalista che ami il proprio lavoro avrebbe voluto essere là ieri sera, seguire i manifestanti fin dentro il Palazzo e raccontare ciò che stava accadendo. Camminare con loro, ascoltare i loro discorsi, anche e soprattutto quando le telecamere erano ancora lontane. Quante volte, in cortei ben più gestibili, ci siamo mischiati tra i manifestanti, a taccuino chiuso e con il fotografo che ci seguiva a distanza, perché è proprio lì, tra gli ordini dati dai capi branco, che si scoprono le vere motivazioni della protesta. Oltre gli slogan ciclostilati in proprio e scanditi a ripetizione, oltre i proclami al megafono. Quello è il posto che ogni bravo giornalista deve occupare, da lì si muoveranno la sua penna e la sua voce per raccontare al mondo cosa è avvenuto. 

Dunque, è presto per conoscere la verità sull’assalto a Capitol Hill, perché è proprio con il passare delle ore che gli interrogativi aumentano. Lorenzo Vita ne presenta diversi nel pezzo “Come è stato possibile assaltare il Campidoglio?” (da leggere), online oggi su InsideOver, con un’ipotesi inquietante: «Alcuni sospettano che il Pentagono si sia tirato indietro: non voleva essere coinvolto in quello che appariva come una pericolosa trappola nell’immagine dell’esercito e soprattutto non voler rimanere ingabbiato nello scontro politico in atto». 

Per capire cosa sia avvenuto veramente ieri occorre leggere tanto, in modo particolare gli articoli dei giornalisti inviati sul posto. Gli inviati speciali (figure quasi mitologiche per i giovani giornalisti al primo ingresso in redazione) a causa della profonda crisi del settore diminuiscono sempre di più, ma le grandi testate hanno almeno un giornalista in America. Leggiamoli. 

Leggi anche https://parcodigiacomo.blogspot.com/2020/12/come-riconoscere-le-fake-news.html 

(Image by Alejandro Barba from Unsplash)

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