domenica 10 gennaio 2021

Il disco più bello del mondo

Se provate a chiedere a Google quale sia il disco più bello del mondo, il motore di ricerca vi propone la lista dei 500 migliori album stilata da Rolling Stone. In questa lunga lista, pubblicata per la prima volta dalla rivista statunitense nel 2003, e successivamente aggiornata, non sono presenti ad oggi dischi italiani. Se chiedete quale sia il disco italiano più bello del mondo, Google vi propone invece la lista dei 100 migliori album italiani, pubblicata il 30 gennaio 2012 da Rolling Stone Italia. Stuzzicare ulteriormente Google è inutile: dischi italiani belli ci sono, ma non bisogna pretendere troppo che entrino in classifiche internazionali. 

Si sa, per entrare in queste liste dorate non basta pubblicare un album straordinario, è necessario anche scalare le classifiche, perché qui si certificano canzoni che hanno lasciato il segno nell’immaginario collettivo, canzoni che hanno raccontato o influenzato la cultura e l’opinione pubblica di un Paese, canzoni fischiettate su migliaia di biciclette o cantate coralmente negli stadi o urlate durante oceaniche manifestazioni di protesta. E tutto questo è impensabile se un disco vende poche migliaia di copie. 

Dischi

Se la critica musicale vuole avere ancora un senso in questo mondo liquido però, deve avere anche il coraggio di andare oltre, di scovare cioè tra le centinaia di dischi pubblicati ma rimasti sconosciuti al grande pubblico le perle più brillanti per raccontarne il valore, per spiegarlo quando non è stato compreso, per guidare così l’ascoltatore verso strade nuove. 

«Gli artisti falliti hanno un sogno proibito, un teatro con fuori scritto “Tutto esaurito”», dallo smartphone intanto si diffondono nella stanza le note inconfondibili di “The Show must go on”, brano che Milva ha presentato al Festival di Sanremo del 2007, punta di diamante di un album sorprendente: “In territorio nemico”. 

Milva Sanremo

Profetico il titolo, che non viene ripreso da nessuna delle dieci canzoni, tutte firmate da Giorgio Faletti, quasi a evocare le scelte artistiche della Rossa, sempre spinta dal desiderio di capire e crescere e mai dall’obiettivo di vendere. 

L’album è un territorio nemico anche per l’ascoltatore, che può restare disorientato di fronte alla vastità delle suggestioni immaginative proposte. Appena il disco inizia a suonare si alza un vento, a volte leggiadro a volte tempestoso, che porta chi ascolta in dieci mondi diversi, proprio come farebbe un fantasma di “A Christmas Carol”.  

Milva in concerto

Ecco una brezza calda per l’apparente quiete di “Canzone della donna che voleva esser marinaio”: il mare di colpo è qui davanti, con la struggente malinconia di chi sogna un viaggio che mai vedrà la luce. Nel tramonto si confondono le ombre misteriose di grandi serpenti marini con i rimpianti di chi non può partire, ma la dolce bellezza consola l’anima come il canto delle sirene. 

Il vento si fa freddo e pungente con “Tre sigarette”: a ogni strofa si fanno più nitidi i contorni di un giovane cecchino, a ogni ritornello bussano al cuore i rimorsi del giovane, imprigionato in un «posto chiuso e compatto se non coi topi all’imbrunire». Verrebbe quasi da posare una mano sulla sua spalla, per distrarre il suo sguardo dall’orrore, ma il vento cambia ancora e diventa spiffero cinico che corre lungo i palchi di un teatro semideserto per “The show must go on”. L’artista si esibisce, fra pochi applausi e qualche rumore di troppo, e ogni posto vuoto in platea è il simbolo di «un cuore troppo piccolo per musiche infinite». 

Ora «sa di vaniglia il vento caldo dell’est», siamo in una stanza, dalla finestra si vede il porto: la canzone è “Jacques”. Non c’è caldo o neve, non c’è pace o guerra, non c’è tempo che corra diabolico nella sveglia o che riposi lento sulle pagine del calendario, io «è di te che ho bisogno», quando tornerai io «sarò la sola figura in attesa nel porto di Brest». 

È vento puro di montagna quello che accompagna verso “Cambio d’identità”, dove l’amante si prende cura dell’amato. Qui la voce maestosa di Milva si fa sussurro nelle strofe, bisbiglio dolce nel crepuscolo, melodia appena accennata all’orecchio come carezza della sera. E la carezza si fa audace con “Rovente”: qui il vento si fa così torrido da togliere il respiro e confondere la mente. Brano sensuale e provocante, come quel calore inevitabile, «anche se a volte so fingermi assente, darti risposta è più forte di me». 

Manca il vento ora, manca persino l’aria nello spazio asettico di “La mosca bianca”. Una presenza impalpabile, svelata solo dall’ombra, che nonostante la mite apparenza ancora sogna «un muro trasparente da guardarci attraverso finché passa la curiosità». Una storia finita continua a risuonare tra le pareti, si narra in “Maledetto”, e la sera l’eco si fa più indisponente. Così, davanti alla finestra, lo sguardo corre lungo la strada cercando due fanali che più non appaiono all’orizzonte. Maledetto, «quando non vivi, che fai?». 

Un vento dolce accarezza il profilo curvo di un uomo senza impiego in “Mio fratello non trova lavoro”. Il dramma della disoccupazione è visto con gli occhi del fratello, che il lavoro l’ha trovato anche se «da quattro lire, fetente e duro», e non riesce a darsi pace nel vedere la persona a lui più vicina che si sente ripetere a ogni porta «vada e domani non torni più». Un cuore che si strugge è un cuore rimasto umano nonostante le brutture vissute. 

E come potrebbe chiudersi il viaggio nel territorio nemico se non con una serenata? “Questa notte la luna” è solo voce e chitarra, è solo Milva e il pubblico. Lassù, dall’alto della collina, l’occhio si perde nel cielo stellato e nel territorio nemico appena attraversato, anche se «questa notte la luna come vedi non c’è». 

Milva Jacques

Ebbene, l’assenza di Milva tra i dischi più belli del mondo è inspiegabile. Perché con le sue canzoni la Rossa non ha solamente influenzato l’immaginazione del pubblico, ma l’ha resa libera. Ha regalato la chiave di accesso a mondi paralleli, a viaggi interstellari, a crociere lungo il Nilo e fino alle colonne dell’oblio. 

L’interpretazione unica incastonata in questi dieci brani contiene in sé il talento e l’esperienza maturati in una preziosa carriera mitteleuropea, come ha fotografato poeticamente Giacomo Ricci il 9 aprile 2007 per Radio Voce Camuna. E questa interpretazione, debuttata al 40° posto nella classifica Fimi, ha fatto il giro del mondo grazie a numerose tournée, portando tracce italiane in ogni parte del globo. 

Sì, il disco merita un posto nella classifica dei 100 migliori album italiani e uno nella classifica dei 500 migliori album di tutti i tempi. Una critica libera lo dovrebbe riconoscere. E, forse, un giorno lo farà. 

Leggi anche https://parcodigiacomo.blogspot.com/2020/01/milva-oggi-carriera-discografia-intervista-biografia.html 

(Image N.1 by Mick Haupt from Unsplash)

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