venerdì 22 febbraio 2019

Pavia e gli splendori delicati della sua storia

«Anche i milanesi devono concederci che Pavia col bel tempo è proprio una bella città, forse la più bella città di Lombardia. (Credo che ci si possa stancare d’esser milanesi; mai d’esser pavesi). Quel cielo manzoniano, così bello quando è bello, si distende particolarmente su di lei, che se lo gode sollevandosi tutta — torri chiese case — in un rapimento tranquillo. 

Pavia vista dall'alto

Il bel tempo a Pavia è un accorto compromesso tra l’azzurro dei cieli longobardi e l’oro dei cieli latini mediterranei: azzurro inverosimile al nord, verso le Alpi; incandescenza scarlatta al sud, verso gli Appennini; come abbiamo spesso veduto nei nostri viaggetti in su e in giù, quando eravamo più giovani. Di mezzo, sta la pausa sospensiva della valle padana, nella quale la luce trova il suo temperato splendore, la sua mitezza; in essa, Pavia acquista le trasparenze e gli splendori delicati della sua storia, e i colori sepolti nei secoli delle sue pietre tornano a gemere e a rivivere, dal rosso delle torri e del castello al plenilunio di San Michele, la cui arenaria vanisce in una deliquescenza subacquea. 

Il duomo e i tetti di Pavia dall'alto

giovedì 14 febbraio 2019

Tu non credere

La sede dell'Ordine dei Giornalisti della Lombardia a Milano

Tu non credere. Non credere a chi, invidioso e insoddisfatto, prospetta solo il fallimento. Non credere a chi, beatamente accomodato, dice che non c’è più posto. Non credere a chi, con lucida consapevolezza, cerca di far precipitare a terra il tuo sogno. Segui il sentiero che hai idealizzato, atteso e sperato. Preparati a renderlo più reale, più concreto, preparati a ridimensionarlo, ma non accettare di sporcarlo. Mai. Se la tua fiaccola resterà accesa, se continuerà a brillare vivace verso l’alto, troverai sicuramente la fine della foresta.

venerdì 8 febbraio 2019

La verità ha bisogno anche di parole

«L’indomani ero partita per il Vietnam. C’era la guerra in Vietnam e se uno faceva il giornalista finiva prima o poi per andarci. Perché ce lo mandavano, o perché lo chiedeva. Io l’avevo chiesto. Per dare a me stessa la risposta che non sapevo dare a Elisabetta, la vita cos’è, per ricercare i giorni in cui avevo troppo presto imparato che i morti non rinascono a primavera».

È il 1968. A scrivere, da una camera dell’ultimo hotel ancora in piedi a Saigon, in Vietnam, è Oriana Fallaci. I suoi articoli di inviata, pubblicati sull’Europeo, arrivano in un’Italia scossa dalla contestazione e sono una pioggia di parole che, invece di placare i dibattiti, ne accende di nuovi. Cos’è che le rende capaci di scardinare le nostre rassicuranti certezze? Cos’è che ce le fa sembrare fastidiose, dolorose, difficili?

Serata di SoulFood4You a Canepanova, Pavia

In un’intervista del 1991 a TG1 Sette, mentre dalla Guerra del Golfo lamenta gli ostacoli che gli Stati coinvolti pongono ai giornalisti, Oriana spiega: «Forse ci sarebbe da vedere lo sbarco, ma non ci prenderanno. Probabilmente, se riusciremo a entrare nel Kuwait, ci entreremo quando avranno fatto pulizia. Nel Vietnam abbiamo raccontato troppo i morti, li abbiamo fatti vedere troppo, con le parole e con le immagini. E loro non vogliono che si vedano i morti».

Per chi sceglie di fare il giornalista il confronto con queste parole è in realtà uno scontro. Uno scontro quotidiano con un uragano di parole e di pressioni. Dalle storie più semplici da comprendere e da raccontare, i residenti di un quartiere che chiedono una corsa aggiuntiva all’autobus, alle storie più delicate, come le decine di lastre di amianto abbandonate, ancora oggi, all’ex area Necchi.

Giacomo Bertoni, giornalista, ospite di SooulFood4You

Ricordo il primo incontro con quella che sarebbe diventata poi la mia fonte principale sul tema, ricordo il plico di fogli che mi ha allungato sul tavolo, un vero e proprio dossier fatto di analisi, resoconti, dati e fotografie, ricordo le serate passate a studiare le carte per verificarne la veridicità. Ogni parola mi parlava, non solo scientificamente, non solo razionalmente, ma anche emotivamente. I numeri sull’inquinamento della falda acquifera non erano e non sono solo numeri, i numeri dei poliziotti che lavoravano lì a pochi metri e che sono morti per tumore negli ultimi anni non sono numeri.

Quando iniziano le interviste arriva uno tsunami di parole: le parole di paura di chi lavora lì, le parole di dolore di chi ha perso un caro e non sa trovare pace, le parole di allarme di alcuni esperti, le parole rassicuranti di altri esperti, le parole fredde della burocrazia e i tanti, troppi silenzi. Ma quando inizi a scrivere l’articolo le difficoltà non fanno un passo indietro. Perché il giornalista inizia a essere tirato per la giacchetta, a volte in realtà spintonato senza troppi riguardi: l’editore vuole un indirizzo, il caposervizio vuole un titolo, la fonte vuole una notizia, gli intervistati che hanno parlato vogliono spazio, gli intervistati che hanno taciuto vogliono poco rumore. E allora, quali parole usare?

lunedì 4 febbraio 2019

GMG: verso Lisbona 2022

«(…) Forse a voi non verrà chiesto il sangue, ma la fedeltà a Cristo certamente sì! Una fedeltà da vivere nelle situazioni di ogni giorno: penso ai fidanzati ed alla difficoltà di vivere, entro il mondo di oggi, la purezza nell'attesa del matrimonio. Penso alle giovani coppie e alle prove a cui è esposto il loro impegno di reciproca fedeltà. Penso ai rapporti tra amici e alla tentazione della slealtà che può insinuarsi tra loro. Penso anche a chi ha intrapreso un cammino di speciale consacrazione ed alla fatica che deve a volte affrontare per perseverare nella dedizione a Dio e ai fratelli. 

Penso ancora a chi vuol vivere rapporti di solidarietà e di amore in un mondo dove sembra valere soltanto la logica del profitto e dell'interesse personale o di gruppo. Penso altresì a chi opera per la pace e vede nascere e svilupparsi in varie parti del mondo nuovi focolai di guerra; penso a chi opera per la libertà dell'uomo e lo vede ancora schiavo di se stesso e degli altri; penso a chi lotta per far amare e rispettare la vita umana e deve assistere a frequenti attentati contro di essa, contro il rispetto ad essa dovuto.


Cari giovani, è difficile credere in un mondo così? Nel Duemila è difficile credere? Sì! E' difficile. Non è il caso di nasconderlo. E' difficile, ma con l'aiuto della grazia è possibile, come Gesù spiegò a Pietro: "Né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli" (Mt 16,17). Questa sera vi consegnerò il Vangelo. E' il dono che il Papa vi lascia in questa veglia indimenticabile. La parola contenuta in esso è la parola di Gesù. Se l'ascolterete nel silenzio, nella preghiera, facendovi aiutare a comprenderla per la vostra vita dal consiglio saggio dei vostri sacerdoti ed educatori, allora incontrerete Cristo e lo seguirete, impegnando giorno dopo giorno la vita per Lui!

In realtà, è Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. E' Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna.