mercoledì 13 gennaio 2021

Pena di morte, il "no" sia definitivo

È passata sottotraccia la notizia dell'iniezione letale a Lisa Montgomery, la prima donna, come ricorda oggi Il Sole 24 Ore, «a essere messa a morte in 70 anni». Lisa Montgomery era stata condanna alla pena capitale per un crimine orribile, che non serve ricordare ora su questo blog dato che è possibile trovarne tutti i dettagli su tutte le principali testate del mondo. 

Erano 70 anni che non si registrava un’esecuzione federale, e fino all’ultimo c’era stato spazio per la speranza: due giorni fa, infatti, la pena era stata sospesa per consentire l’avvio di una nuova perizia psichiatrica, e questo aveva fatto immaginare che i 70 anni di quiete non sarebbero stati macchiati col sangue. 

Come ricorda ancora Il Sole però, «Lisa Montgomery, unica donna nel braccio della morte federale, ha ricevuto l’iniezione letale nel carcere di Terre Haute, in Indiana». 

No alla pena di morte

Si è spenta così una vita macchiata dal male, fin dall’infanzia, da quei terribili abusi subiti in famiglia, che hanno lasciato una traccia indelebile nell’animo di Lisa Montgomery. Lo ha indirettamente ricordato anche il giudice James Hanlon, del distretto meridionale dell'Indiana, che aveva ordinato la sospensione dell’esecuzione con questa motivazione: «Le informazioni presentate alla Corte contengono numerose prove che lo stato mentale della Signora Montgomery è così lontano dalla realtà che non può comprendere razionalmente il motivo della sua esecuzione», riporta Avvenire

Come se l’orrore subito da bambina l’avesse fatta precipitare in un buco nero che tutto assorbe, tutto ingloba senza possibilità di rigetto verso una vita normale. Lisa Montgomery era pericolosa? Sì. E non ci sono scusanti né attenuanti per ciò che ha commesso. Ma la sicurezza della collettività può essere tutelata con l’ergastolo. E chi paga per averla gettata dentro quel vortice di male dal quale lei ha estratto, come in un prevedibile gioco di prestigio, un crimine tanto efferato? 

Non si può voltare lo sguardo dall’altra parte oggi, soprattutto se si è quotidianamente impegnati nel raccontare la vita per giornalismo o nel difenderla attraverso l’attivismo pro life. La vita da difendere sempre, soprattutto quando è più fragile, anche quando è macchiata dal male. La non disponibilità della vita non può essere una filosofia a singhiozzo. 

Il 27 gennaio del 1999, papa Giovanni Paolo II, parlando al gremito Stadio “Trans World Dome” di Saint Louis, disse: «Un segno di speranza è costituito dal crescente riconoscimento che la dignità della vita umana non deve mai essere negata, nemmeno a chi ha fatto del male. La società moderna possiede gli strumenti per proteggersi senza negare in modo definitivo ai criminali la possibilità di ravvedersi. Rinnovo l'appello lanciato a Natale, affinché si decida di abolire la pena di morte, che è crudele e inutile». E il netto “no” della Chiesa alla pena di morte è stato recentemente ribadito anche dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. 

È tempo di affrontare questo tema senza reticenze, sia che riguardi Paesi ancora feriti dalla dittatura, sia che riguardi la più grande democrazia del mondo. Non si pone rimedio a un orrore con un nuovo orrore, di Stato. 

Leggi anche https://parcodigiacomo.blogspot.com/2017/07/difesa-della-vita-la-grande-lezione-di.html 

(Image by Maria Oswalt from Unsplash)

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