domenica 22 novembre 2020

Giuni Russo e Milva, il duetto impossibile

Sono le prove a fare la differenza. Sono quei momenti rubati da una telecamera quasi nascosta, quando ancora il teatro o il palazzetto o la piazza sono vuoti, a certificare la differenza fra l’artista e altro. Perché sì, bando al politicamente corretto: non tutti sono artisti. Non tutto ciò che viene proposto da un palco è arte. 

Ciò non significa imbrigliare le emozioni, queste vanno dove vogliono e non fanno differenza fra tormentone estivo costruito a tavolino e poesia trasformata in musica dal più grande compositore. Però è giusto riconoscere per cosa si è pagato il biglietto. 

Giuni Russo foto

Ed è durante le prove che la magia si svela. Quando ancora i riflettori non sono tutti accesi, quando i flash dei fotografi sono spenti e lontani, quando i taccuini dei giornalisti sono chiusi nelle tasche, quando c’è solo la musica. Quella musica che sì, in parte è scelta, scelta che diventa professione, ma è soprattutto un’esigenza insopprimibile che nasce dal profondo dell’anima e pretende esternazione. 

E allora in questa domenica di zona rossa, almeno in Lombardia, osiamo l’inosabile: immaginare assieme, sul palco, Giuni Russo (1951-2004) e Milva. Se possibile, uscendo dalla narrazione “con Alice, le muse di Battiato”. Ho sempre visto Franco Battiato come un abilissimo gemmologo, capace di trovare, riconoscere, tagliare e levigare le pietre più preziose. 

Alcune di queste pietre poi, nelle mani di Milva, Alice e Giuni Russo, sono diventate gioielli d’inestimabile valore. Hanno acquisito come una nuova identità, altra e indipendente rispetto all’originale. Sarò in minoranza, ma prima ho conosciuto i gioielli e poi, grazie al loro sfavillare, sono stato spinto a indagare sull’artigiano. Chiusa parentesi, torniamo al palco. 


È tutto buio, si sentono le prime note di una melodia struggente, si accendono le luci, ecco Giuni. Ecco la sua voce. E niente, non sono più prove, non sono più momenti di routine. La musica scorre nelle vene di Giuni, che gioca con la voce sorridendo, ingannando lo spettatore e facendogli credere che non sta compiendo vere acrobazie vocali, che i suoi in fondo sono vocalizzi normali, accessibili a tutti. Il canto diventa preghiera, ricerca, dialogo forse con Chi è più intimo a me di me stesso, direbbe sant’Agostino

Il segreto dell’arte è in questo andare oltre sapendo che c'è altro. Oltre il visibile, il comodo, il prevedibile, oltre la realtà fattuale, oltre la realtà raccontata dalle sirene mainstream. L’arte è un viaggio durante il quale l’artista vede qualcosa di più dell’uomo comune, e generosamente lo narra al proprio pubblico. Come potrebbe compiersi altrimenti la catarsi? Dove troverebbe spazio sennò la speranza? 


Un altro palco, più luci e più caos. Manca poco allo spettacolo, la musica parte e la pantera ruggisce. I capelli raccolti, un cappello che nasconde lo sguardo forse struccato e un abbigliamento elegante ma sobrio, eppure le prime note cambiano tutto. E nulla possono i piccoli inconvenienti tecnici: Milva si aggrappa alla musica come farebbe uno scalatore con la cima tanto desiderata, e non perde l’equilibrio. 

In questo duetto impossibile, le immagini si sovrappongono quando Giuni, al minuto 2.30, si lascia andare alla musica, abbracciandosi, mentre la Rossa, al minuto 1.20, s’immerge completamente nel testo, onirico e potente. Non è un caso che entrambe le canzoni siano chiavi di accesso a un mondo incantato firmate da Juri Camisasca

Milva discografia

Quanti altri doni avrebbe potuto lasciare Giuni Russo, se la sua strada non fosse stata sbarrata da quella «Medea» che lei stessa ha evocato (vedi chiacchierata con Amanda Lear)? Quanti palazzetti dello sport avrebbe potuto riempire in Italia Milva, se fosse stata giudicata e raccontata da una critica meno maschilista? Senza abusare del termine, ci pensano già tanti colleghi, va detto che in Italia per troppi anni hanno contato solo gli autori. Anzi, gli Autori. Sempre gli stessi, sempre bravissimi, sempre interpellati per interviste e articoli ed editoriali e libri. Saggi, in automatico. Competenti, per sangue reale. A volte, pericolosamente tuttologi. 

Cos’hanno da invidiare queste due esibizioni a un Francesco Guccini che, seduto con la sua chitarra, esegue “La locomotiva”? A un Francesco De Gregori che, immobile col suo cappello e gli occhiali da sole, canta “Rimmel”? Perché quando si parla di musica di qualità si parla solo di uomini? E sempre degli stessi? L’assenza di Juri Camisasca negli elenchi “artisti da citare” delle redazioni è inaccettabile. La (seconda) parentesi tenta di prendere il sopravvento, meglio chiuderla. 


Il duetto impossibile però rimane, e racconta che nonostante tutto è possibile arrivare a quei livelli continuando a godere della musica, senza effetti speciali né pre-rec, la maledizione contemporanea (a volte ben celata, a volte palese) che spezza la magia di troppi concerti. Gli strumenti, la voce che si fa strumento, la fisicità che si fa espressione, i cuori del pubblico, le emozioni. Che altro serve? 

Le voci di Giuni e di Milva non si sono mai incontrate su un palco, anche se sembra si siano incontrate in sala d’incisione: Giuni infatti, seppur non accreditata, ha partecipato come vocalist al brano “La passione secondo Milva”, della Rossa. Ed è possibile sognare un duetto mescolando le loro interpretazioni di “Atmosfera”, brano di Franco Battiato e Giusto Pio. 

Un sottofondo diverso in questi giorni di lockdown, mentre il 2020 volge al termine, con un carico inedito di paure e aspettative per l’anno nuovo che verrà. In queste esibizioni c’è qualcosa di più. L’orizzonte si allarga. 

Leggi anche https://parcodigiacomo.blogspot.com/2020/08/milva-oggi-ritiro-malattia-teatro-nostalgia.html 

(Image from Giuni Russo’s official Facebook page. Se i video non vengono visualizzati dallo smartphone cliccare qui sotto su “Visualizza versione web”)

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