sabato 2 maggio 2020

Lockdown della fede? Non avete capito niente

“Scusami, devo staccare, tra poco inizia la Messa su Telepavia, a dopo!” “Hai visto ieri sera che bello il rosario per l’Italia su Tv2000?” “Ormai mi sento veronese d’adozione, da quando siamo in isolamento seguo la Messa di monsignor Zenti su Telepace, mi sento davvero parte di qualcosa di più grande.” “Ci sentiamo domani allora: tra poco c’è la compieta su Radio Maria e la recito con loro.” “Abbi pazienza, ma a quell’ora devo dire la coroncina della Divina Misericordia con Radio Mater, facciamo alle 17?” 

Sono solo una sintesi dei tanti messaggi ricevuti e inviati in queste settimane di isolamento. E sono il motivo per il quale, quando il contagio si sarà fermato, si potrà parlare di orgoglio cristiano. 

L'Abbazia di San Galgano deserta e la fede in isolamento per il coronavirus

Senza Messa dal 23 febbraio 

Facciamo il punto della situazione: il 23 febbraio scorso la Conferenza episcopale lombarda ha sospeso le Messe con concorso di popolo. Niente Messa la domenica, niente Messa in settimana, niente Via Crucis, niente veglia nella notte di Pasqua. I sacerdoti continuano a celebrare ma da soli, a porte chiuse. Uno shock per i fedeli, una privazione che è sembrata il colpo di grazia davanti a un nemico nuovo, invisibile e pericoloso. E così, anche i nostri pastori ci abbandonano? Per di più in Quaresima, nel cammino verso la Pasqua? 

Lo sconcerto è durato poco, perché da subito i vescovi lombardi hanno messo in moto una macchina organizzativa inedita, grazie alla quale sono nate nuove collaborazioni con le emittenti locali per consentire a tutti i fedeli, anche a chi non usa i social, di partecipare almeno spiritualmente alla Santa Messa. 

Messe in tv e sui social 

Le diocesi lombarde hanno investito tempo, creatività e denaro in questa direzione. A questi sforzi, si sono affiancati poi quelli dei singoli sacerdoti: già il 25 febbraio lanciavo su questo blog il motto “Isolati ma non soli”, iniziando a dar conto delle iniziative nate nella diocesi di Pavia. Oggi è il 2 maggio: anche volendo non potrei più ricordarvele tutte, servirebbe un post di 50mila battute. E parliamo solo di Pavia. 

Cos’è successo? Semplice. I cristiani si sono stretti attorno ai loro pastori, affidandosi, senza nascondere dubbi, preoccupazioni e paure. Il 23 febbraio i cattolici hanno capito che tutti i discorsi sul “custodire l’umano” e “amare il prossimo” imponevano ora uno sforzo mai pensato prima: rinunciare all’assembramento della Messa per proteggere la salute pubblica. In modo particolare quella delle persone più fragili e più esposte al contagio. Dei più piccoli, dei più anziani, di chi cammina nel mondo senza difese. 

“Obbedire è meglio” 

Perché lo hanno fatto i cristiani? Perché si fidano dei loro pastori. Perché a volte li criticano, ma alla luce del sole, nell’obbedienza. Perché hanno ben chiaro nel cuore il motto di San Giovanni Bosco, “buoni cristiani e onesti cittadini”. Perché solo se la comunità religiosa e quella civile abbattono le loro barriere per collaborare si può costruire la civiltà dell’amore, una civiltà che ha bisogno dell’impegno di tutti, una civiltà che è la promessa di un amore che vorrebbe raggiungere tutti gli uomini e le donne di buona volontà. 

Perché i cristiani sanno bene che nel mondo ci sono Paesi dove le Messe sono vietate da regimi dittatoriali, dove si rischia carriera, famiglia e vita a celebrare l’Eucarestia. Perché i cristiani portano nel cuore gli ammalati, gli anziani soli, tutte le persone inchiodate a un letto da una malattia e per questo impossibilitate a partecipare di persona alla santa Messa. Perché, a fronte di tutto questo, la rinuncia, seppur dolorosissima, può essere un sacrificio d’amore offerto per chi davvero alla Messa non può partecipare mai di persona. 

Una Chiesa in ogni casa 

La Chiesa domestica ha preso forma con un nuovo modo di vivere le celebrazioni, un modo nel quale le nuove tecnologie sono strumenti fondamentali ma non protagonisti. Il rumore del mondo è sospeso davanti alla Messa trasmessa in tv o sui social: si spengono i fornelli, si ritarda il pasto, si dimenticano i telefoni, si ascolta in silenzio, alzandosi e sedendosi, inginocchiandosi, preparandosi alla Comunione spirituale con tutta la fede che c’è.

I cristiani sanno cosa significa unire fede e ragione, i cristiani sanno che cosa vuol dire impegnarsi per il bene comune, i cristiani sanno che obbedire è meglio. E l’obbedienza che salva non è mai comoda, come in questo caso, perché comporta un sacrificio inimmaginabile. Ma salva perché rende visibile sulla Terra la comunione dei santi, l’affidamento fiducioso al Cielo, la capacità di tenere a bada i propri desideri, mettere al primo posto Dio amando e rispettando il prossimo. 

I cristiani sanno che la Comunione non è un diritto ma un dono, il dono più grande. I cristiani sanno, come dice Benedetto XVI, che: «Nessuna lacrima, né di chi soffre, né di chi gli sta vicino, va perduta davanti a Dio». Insomma, l’abc della buona fede e dell’onesta cittadinanza passa da qui. Passa anche dal sacrificio, dalla rinuncia, da una decisione sofferta prima di tutto dai vescovi, che hanno da subito attivato una proficua collaborazione con le autorità civili per studiare i passi migliori. 

Il desiderio e l’attesa 

I cristiani, con la rinuncia e la fiducia nei loro pastori, con la preghiera estesa a tutte le persone che soffrono per il coronavirus, stanno dimostrando di essere luce del mondo e sale della Terra. Una luce che non si è spenta, un sale che non ha perso il suo sapore: in un mondo dove la trasgressione e l’egoismo sembrano essere i cavalli vincenti, l’obbedienza dei cristiani scombussola le regole del politicamente corretto, richiama l’opinione pubblica a una mentalità antica e sempre nuova. Uniti si trema, uniti si spera, uniti si ricostruisce. 

Il desiderio di tornare in chiesa per partecipare di persona alla Messa è oggi più forte che mai. Ci sono volti da ritrovare, speranze da affidare, dolori da consolare. E tutto questo richiede, impone la presenza di una comunità viva, fisica, reale. L’attesa nella Fase 2 si fa ancora più dolorosa, ma la speranza non inganna mai. Con la Chiesa, con i vescovi, per tutti. 


(Image by Rudy and Peter Skitterians from Pixabay)

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