mercoledì 13 maggio 2020

Repubblica, bonus da 600 euro al miglior giornalista

I collaboratori esterni sono giornalisti che lavorano per un giornale dall’esterno appunto, spesso da casa. Non hanno accesso alla redazione, non possono usare i computer della redazione, ricevono indicazioni via telefono e via mail. Un tempo una scelta di libertà, oggi la scorciatoia dei giornali per avere forza lavoro senza assumere. 

In questa situazione di crisi congelata, piomba la proposta del neodirettore di Repubblica Maurizio Molinari di premiare ogni settimana il giornalista che presenterà la proposta migliore. Con un bonus da 600 euro. Ma procediamo per gradi e torniamo ai collaboratori esterni. 

Immagine di Fantozzi con il mega direttore parodia di Repubblica e bonus 600 euro

Liberi ieri e precari oggi 

Una situazione particolare, che in passato si verificava in tre occasioni: la gavetta, prima di avviare il praticantato o di assumere il direttore metteva così alla prova l’aspirante cronista, l’attività giornalistica come attività non prevalente, in caso di giornalisti pubblicisti, o la libera scelta di chi preferiva restare freelance, tenendo insieme più collaborazioni con testate differenti. 

Negli ultimi anni però, la collaborazione esterna è diventata un cappello sotto il quale nascondere giornalisti che lavorano a tempo pieno per la testata, con tutti i doveri di un contratto subordinato, ma nessuna garanzia. Spesso il collaboratore esterno è pagato pochi euro lordi a pezzo, al momento in vigore c’è l’equo compenso, non ha né ferie né malattia, e in alcuni gruppi editoriali non ha diritto alla firma in alto, ma solo a fine pezzo. Chi ama questo lavoro, chi lo fa con passione e come unica attività, si ritrova così in un meccanismo nel quale rischia di finire stritolato. 

Come lavora un esterno 

Si lavora sempre, dal lunedì alla domenica. Ogni giorno perso è un giorno non pagato, e con il tariffario dell’equo compenso non si può perdere neanche un’occasione. Dopo aver realizzato un reportage, che magari ha richiesto due giorni di sopralluoghi e interviste, il pezzo viene inviato. A quel punto il collaboratore esterno ne perde completamente il controllo: l’articolo riceve titolo e catenaccio da chi spesso ne ha letto solo le prime tre righe. Viene cucinato, tagliato, allungato, modificato in base a mille motivazioni che mai vengono riferite al giornalista autore del pezzo. 

L’esterno può lavorare 16 giorni di seguito, può conquistare con le sue proposte il titolo di apertura del giornale e tre aperture lo stesso giorno, e può fare tutto questo per anni. Ma nulla cambia nel rispetto professionale ed economico che gli viene riconosciuto dall’editore e dalle grandi firme, dotate di grandi contratti. E poco importa se le grandi firme compaiono sempre meno, se non usano i social, se abusano dei privilegi, se a volte appongono per purissima disattenzione la loro firma al pezzo di un esterno. 

Un bonus ai soliti noti? 

Per questo, la proposta di Molinari di donare 600 euro alla migliore notizia della settimana inquieta e rattrista. Inquieta perché i collaboratori esterni hanno accesso alle riunioni di redazione come un chirurgo plastico ha accesso alla sala di controllo di una centrale nucleare. Chi si preoccuperà di difendere il loro nome durante le riunioni, di ribadire la paternità delle idee in caso provengano dall’esterno? Rattrista perché ancora una volta le redazioni si avvitano su se stesse. Come la splendida sala da ballo del Titanic. Si continua a narrare un mondo dalla scrivania, ma il mondo intanto corre a velocità sconvolgenti, e impone la presenza sul campo, pretende flessibilità mentale, riconosce la passione. 

Non c’è soluzione alla crisi del giornalismo, crisi che viene solo in parte dalla rivoluzione digitale, senza un rinnovamento profondo delle redazioni. Non si combattono le ingiustizie del mondo alimentandone altre. Non si risana la fiducia dei lettori giocando alla casta. 

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