mercoledì 27 maggio 2020

La solitudine dopo l'isolamento

«Siamone certi: nessuna lacrima, né di chi soffre, né di chi gli sta vicino, va perduta davanti a Dio». (Benedetto XVI)  

Qualcuno è rimasto solo. Qualcuno ha perso il lavoro. Qualcuno ha perso se stesso. Finalmente muoviamo i primi passi fuori casa: il lockdown è finito, ma lo spettacolo che troviamo nelle nostre strade non è quello che ci aspettavamo. Non tutto si è congelato, rimanendo così protetto dallo scorrere del tempo. Ci sono saracinesche che forse non si alzeranno più, ci sono volti che non incontreremo più, e ci sono sorrisi che non riconosciamo. La ripartenza, la rinascita, la Fase 3. Belle parole che faticano a diventare realtà. 

Immagine di una donna in riva al mare circondata da gabbiani in volo

Durante l’isolamento i libri e i dischi hanno dato colore alle giornate, e ci sono due canzoni che sembrano scritte ieri per raccontare l’oggi. Si tratta di “E io ho visto un uomo”, composta da Enzo Jannacci, interpretata da Milva e contenuta nell’album “La Rossa”, Ricordi, 1980. E di “Solitudini”, composta e interpretata da Nair e contenuta nell’album “Ithaca”, Alabianca Records, 2011. Se è vero, come dice la Rossa, che non basta una canzone per cambiare il mondo, è vero che una buona canzone può allargare lo sguardo sulla realtà, può parlare al cuore e risvegliare l’umano.


Oggi «non c’è tempo e poi non c’è mai voglia di capire», perché la mascherina e gli occhiali e i guanti ci proteggono anche dalla sofferenza degli altri. Quello sguardo ritrovato dopo tre mesi appare così cambiato, così spento, annebbiato dal troppo dolore vissuto, fa un po’ paura. Perché ricorda che non è andato tutto bene. Quando ci si incontra sembra di partecipare a «un ballo in maschera di smoking e clochard», un grande ritrovo nel quale solo apparentemente siamo tutti uguali, ma in realtà qualcuno danza un valzer nel grande salone di un transatlantico, e qualcuno ondeggia all’aperto, rubando qualche nota che esce da una finestra dimenticata aperta. 


Chissà perché quella persona arranca, chissà perché ha il fiatone. Forse, oltre alle borse della spesa porta con sé un dolore indicibile, ma «la gente guardava e non domandava se avesse qualcosa, magari un malore». Queste due canzoni sono un monito, una scossa per la coscienza. La voce profonda e piena di chiaroscuri di Milva e la voce limpida e cristallina di Nair sono una carezza sul cuore che sembra sussurrare: non arrenderti, non nascondere la fragilità, non temere i tuoi limiti. Si riparte insieme, riscoprendo il silenzio e facendo memoria di chi non è più con noi, immaginando un futuro più umano, liberando lo sguardo per lasciare che torni verso il cielo. 

L’album “Ithaca” è dedicato a Ernesto Olivero. Da cittadino onorario di Bergamo, pochi giorni fa Olivero ha voluto dedicare un pensiero alla città. Un pensiero universale. Buon ascolto, buona lettura, buona ripartenza.

Quando l’uomo
è in ginocchio
non è la fine
è il nuovo inizio
perché in quella posizione
può pregare.
Lì, quando il mondo
dice che sei finito,
hai un nuovo inizio
colmo di preghiera
colmo di sofferenza
da offrire.” 
(“Un nuovo inizio”, Ernesto Olivero, fondatore del Sermig di Torino) 


(Image by dmytro_R from Pixabay)

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