mercoledì 5 febbraio 2020

Achille Lauro a Sanremo: cosa abbiamo perduto?

«La celebre scena attribuita a Giotto in una delle storie di San Francesco della basilica superiore di Assisi. Il momento più rivoluzionario della sua storia in cui il Santo si è spogliato dei propri abiti e di ogni bene materiale per votare la sua vita alla religione e alla solidarietà». Achille Lauro accompagna con queste parole le foto che lo ritraggono come un novello San Francesco. Foto presto diventate virali, come la sua esibizione di ieri sera al 70° Festival di Sanremo

Achille Lauro al Festival di Sanremo si ispira a San Francesco

È difficile. Fare arte è difficile. È difficile perché serve uno straordinario mix di talento, determinazione e fortuna. È difficile perché la concorrenza è tanta, perché oggi i dischi non si vendono più, perché gli scritti vengono copiati e rilanciati da siti che vi guadagnano sopra senza nessun riconoscimento per l’autore originario, perché le fotografie vengono condivise senza neanche una citazione, perché il modo stesso di guadagnare facendo arte, soprattutto musica, è cambiato.

Ma ancora più difficile è fare arte senza cedere alla tentazione di una provocazione becera, semplicistica, banale. Di uno scandalo costruito a tavolino per attirare i flash e colmare il vuoto di contenuti. Ci sono star che, grazie a questo stratagemma, hanno inventato carriere, con milioni di dischi venduti e tour mondiali sold out. E nonostante queste carriere decennali ancora oggi non hanno imparato a cantare live. Quindi la scorciatoia funziona. È difficile poi non fare i conti con la cristianità, le cui radici innervano la nostra storia europea, le cui chiese adornano le nostre città, i cui riti scandiscono la nostra memoria.

L’arte si è messa spesse volte a servizio della cristianità, come strumento prezioso per avvicinare l’uomo al Mistero. Quale vocazione più alta per l’arte se non ricordare all’uomo che oltre la quotidianità c’è altro? Oltre le brutture, oltre la nostra finitezza, oltre un mondo che a volte soffoca il cuore. Oltre tutte le fatiche, le ipocrisie, le rassicuranti bugie, l’arte è quella spinta che allarga il respiro, che fa alzare lo sguardo al Cielo e svela un orizzonte nuovo all’uomo. Più grande di quello che sognava, immensamente più esteso di quello che credeva di vedere. L’artista inoltre è capace di vedere attraverso la nebbia della storia: lì scorge le future tempeste del mondo e le anticipa, con le sue opere mette in guardia l’uomo, lo avverte, risveglia la sua coscienza. 

Achille Lauro usa San Francesco come immagine profilo di Instagram

L’arte però può anche rinnegare sé stessa, e farsi serva del pensiero dominante. Può scegliere di vendersi a un padrone, può scegliere di mettersi una benda sugli occhi per non vederla neanche la nebbia, presente o futura che sia, può rinunciare al suo dovere civile di essere custode della bellezza. Grazie al sostegno di una stampa complice poi, questa operazione di marketing (e di spegnimento delle coscienze) può essere presentata come innovativa, all’avanguardia, coraggiosa.

Custodire la bellezza significa custodire l’umano, e custodire l’umano significa promuovere la pace. Perché un artista dovrebbe abdicare a questo compito, che è fondamentale per una società sana? Quando i riflettori si spengono, quando il sipario cala, nei cuori resta la musica. Ma, dopo questo genere di esibizioni, il cuore è terribilmente silenzioso.

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