lunedì 7 ottobre 2019

Quando giocavamo con le macchinine

Sono ancora lì, nel grande scatolone colorato, chiuse da anni eppure ancora pronte a rombare fuori. Grandi, piccole, medie. Da collezione o da poco più di mille lire. Perfette riproduzioni in scala di modelli esistenti o strani prototipi futuristici. Sono le macchinine! Quanti pomeriggi abbiamo passato a giocarci? A volte con i compagni di classe, a volte sequestrando i nonni e costringendoli a rispettare le (nostre) infinite regole del gioco.

Perché, osservando la scena dall’esterno, magari dalla porta della cameretta, un adulto poteva vedere un bambino seduto a terra davanti al suo letto, intento a spingere una o più macchinine. In realtà il bambino non era davanti al letto, ma dentro a una metropoli fatta di grattacieli, strade trafficate, pedoni, fantasmagorici uffici dove andare a fare fantastici lavori. E ogni modello di macchinina aveva la sua perfetta collocazione.

Per attraversare la nostra città immaginaria, per esempio, le automobiline ideali erano quelle piccole, magari dotate di ammortizzatori, così da rendere più realistiche le frenate e le ripartenze ai semafori, e di portiere apribili, perché bisognava pur scendere per fare le commissioni. Il massimo era unire le macchinine ai tappeti con disegnate strade, aiuole, case, supermercati e sensi unici. 

Collezione di macchinine piccole, medie e grandi, con i modelli più famosi di automobili

Per fare le gare di velocità meglio i modelli con carica a molla, da tirare indietro fino a sentir quasi scricchiolare il meccanismo. Il senso del limite si imparava anche così: se tiri troppo la macchinina non va più veloce, si rompe. Poi c’erano quelle grandi, magari radiocomandate. Ricordo la mia Porsche 911 gialla fiammante: quante corse in giro per casa, sotto i letti, tra le gambe del tavolo. Nella vetrina del negozio di modellismo per eccellenza di Pavia, “Il Treno”, avevo visto un altro modellino radiocomandato: una Mercedes R170. In più, rispetto alla mia 911, aveva le portiere apribili, i fanali che si accendevano, il clacson, la retromarcia. E un prezzo da capogiro (superava le 200mila lire). Rimase infatti in quella vetrina. 

Oggi tornare al volante di una macchinina porta con sé un po’ di nostalgia: siamo ancora capaci di attivare la fantasia? Quanta spensieratezza abbiamo perso? Abbiamo almeno provato a realizzare quei sogni che ci facevano brillare gli occhi? Restare bambini è sciocco, cancellare il bambino che è (stato) in noi è dannoso. In tempi di bilanci, spolveriamo la coscienza: se abbiamo perso l’egocentrismo tipico del bambino piccolo, che misura la realtà solo in base alle sue sensazioni, ma abbiamo conservato la sua meraviglia davanti al mondo, siamo su un’ottima strada. Altrimenti niente panico: basta mettere la freccia, rallentare, accostare e fare il punto della situazione sulla cartina (vietato l’uso di Google Maps). Non è mai troppo tardi per ritrovare la strada.

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