giovedì 31 ottobre 2019

2 novembre: quando l'assenza si fa presenza

L’assenza è un macigno. Quando muore una persona cara si crea un piccolo strappo nel cuore, mentre sul petto si appoggia un grande peso, spesso superiore alle nostre forze. A volte, proprio insostenibile. Siamo schiacciati dalla perdita e a nulla servono le frasi “vedrai, col tempo…”. No, il tempo non cura nulla, il tempo anestetizza i sintomi, ma lo strappo nel cuore rimane aperto, vivo.

Da quella ferita è possibile vedere il ribollire della nostra coscienza, strapazzata dai rimorsi e dai rimpianti. Per quel giorno che non sono stato abbastanza presente, per quella sera che mi è scappata una parola cattiva che non pensavo, per tutto quello che avrei potuto fare e non ho fatto. Non ho fatto in tempo, perché il tempo all’improvviso ha iniziato a correre, molto più veloce del solito, e “sorella morte” ti ha portato via. Non sono riuscito a vederla, non sono riuscito a fermarla, non ho potuto tenerla fuori dalla tua stanza. Non sono arrivato in tempo.

È con questo carico di pensieri che si passa davanti al cimitero, e spesso è proprio questo carico di pensieri che blocca, che ci impedisce di entrarvi. 

Scultura con due innamorati posta su una tomba nel cimitero delle Porte Sante, basilica di San Miniato al Monte, Firenze

Oggi poi tutto sembra remare contro l’accettazione della perdita, perché tutto sembra spingere verso la cancellazione del dolore. Appena la ferita nel cuore inizia a far male, ecco un aperitivo imprevisto, ecco un allenamento in più, ecco una notifica sullo smartphone.

Entrare al cimitero fa la differenza, ci spinge ad affrontare il distacco, a fare i conti con la realtà. Perché esiste la morte? Perché non sei più qui con me? Mi puoi ancora sentire? Cosa c’è dopo questa vita? Perché pregare, perché credere? Queste domande bussano nella mente da troppo tempo: è ora di farle uscire, anche con qualche lacrima se necessario.

La solennità di Ognissanti e la Commemorazione dei fedeli defunti possono essere giorni preziosi per fare i conti con le nostre grandi domande di senso, con quell’inquietudine che anima il cuore e fa sì che nulla ci basti, che tutto sembri troppo piccolo e povero per la nostra sete d’infinito. Non sentite anche voi il bisogno di rallentare? Di pronunciare una parola in meno, di scrivere un messaggio in meno, di prendervi un impegno o un incarico in meno? 

Il cimitero delle Porte Sante e la città di Firenze in lontananza, foto dal monastero di San Miniato al Monte

Vorrei condividere con voi una proposta che mi ha fatto don Donato Vicini, sacerdote ambrosiano e voce di Radio Mater: al cimitero andiamo in cerca delle tombe più antiche, delle lapidi dimenticate, di quei defunti che ormai non hanno più nessuno che porti un fiore per loro.

Davanti a queste tombe recitiamo un “l’Eterno riposo”, lasciamo un cero acceso o un piccolo fiore: «Il 2 novembre noi preghiamo per le persone che sono in purgatorio – ricorda don Donato –, per chi ha ancora bisogno di preghiere e di purificazione prima di poter entrare in paradiso. Non è un giorno triste, noi abbiamo la possibilità di mandare in paradiso una persona che non abbiamo conosciuto, ma che ci sarà grata in eterno.

Anche l’indulgenza plenaria possiamo applicarla a un defunto del purgatorio: affidiamo a Dio le nostre preghiere per queste anime, e Lui saprà come accoglierle. Santa Teresa di Gesù Bambino ha scritto “tante grazie che mi sono state concesse da Dio le devo a un’anima che conoscerò solo in paradiso”. Sostare in preghiera davanti alle tombe dimenticate è un grande gesto di rispetto, è un dono che porta tante grazie»

Il Cimitero evangelico degli Allori si trova a Firenze, fu aperto il 26 febbraio 1860

In questi passi silenziosi per il cimitero noi ritroviamo i nostri cari, i volti di amici, i nomi di persone conosciute o importanti per la storia della nostra città, i sacerdoti che hanno guidato le chiese della diocesi, ma anche tanti volti che magari incontravamo sempre sull’autobus o al supermercato. Ed è un cammino accessibile a tutti, a chi crede e a chi no, perché tutti abbiamo bisogno di guarire le nostre ferite. Insieme abbiamo vissuto, insieme abbiamo sognato e sperato, insieme abbiamo sofferto. Ci incontreremo ancora, e sarà per sempre.

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