martedì 13 ottobre 2020

Covid-19: se vince il più forte

Un nuovo lockdown nazionale? Difficile immaginarlo oggi. Difficile pensare che il mondo delle piccole e medie imprese, delle partite iva e dei liberi professionisti possa reggere un ulteriore stop, mentre all’appello mancano ancora alcune conseguenze della Fase 1. Il blocco dei licenziamenti, precario paravento di fronte a una diga crepata, è lì a ricordare che la bolla continua a gonfiarsi. 

Difficile ignorare poi gli effetti psicologici che una nuova chiusura totale potrebbe provocare, in modo particolare sulle persone più fragili, sugli anziani, su chi vive da solo, su chi già combatte con altre patologie che limitano i suoi spostamenti quotidiani. 

Difficile, allo stesso tempo, credere che la delazione possa impedire il crescere della pandemia. Che affidare ai cittadini il ruolo di sceriffi risolva le gravi carenze organizzative statali. Sceriffi influenzabili da paura, invidia, rancori antichi per questioni di vicinato, ripicche e antipatie. Parentesi: il senso civico va formato, accudito, nutrito ogni giorno, anche con il buon esempio. 


Il punto vero è che, come in un grande gioco dell’oca, ora si torna alla casella di partenza. Si torna cioè a quel 21 febbraio, quando le regole non erano ancora certe, e si doveva fare affidamento sul buonsenso dei singoli. Si torna, su questo blog, a un post pubblicato il 28 febbraio scorso, dal titolo “Coronavirus, tra economia e umanità”. Con una marcia in più: ora sappiamo riconoscere le fattezze del nemico, lo sappiamo tenere lontano e lo sappiamo anche curare meglio. Ma la casella è quella della partenza. E la carta da pescare porta una scritta semplice: “Responsabilità”. Siamo disposti a fare qualche rinuncia? A rinunciare a un’occasione di uscita, di assembramento, di condivisione? 

A una socialità che non è accessoria, sia chiaro, bensì pietra angolare dell’esperienza umana, intessuta di relazioni e dialoghi, confronti e scontri, abbracci e carezze. Rinunciare, per un periodo di tempo limitato, a tutto questo, ha un prezzo. Salatissimo. Ma scegliere di continuare a fare tutto ciò che si desidera, dall’apericena in centro all’ennesima vacanza alla festa con tutti gli amici più cari, fa lievitare un conto che poi arriva al tavolo di tutti. Anzi, ancora una volta, al tavolo delle persone più fragili. Psicologicamente, economicamente, contrattualmente e di salute. 

C’è chi, dopo l’ultimo, imperdibile weekend in montagna, può anche permettersi due mesi di lockdown, con o senza smart working. Ma c’è anche chi, pur avendo già rinunciato persino al singolo giorno in montagna, non può permettersi neanche due settimane di lockdown. Perché lo stipendio non arriverebbe più. E c’è chi, magari costretto a letto dalla vecchiaia o da una malattia, la gita può solo sognarla, e vede un nuovo lockdown come la propria finestra sul mondo che si chiude. Senza più visite né contatti esterni. 

No, non si tratta di smettere di vivere. Né di accettare passivamente qualsiasi decisione presa tramite Dpcm. Si tratta di decidere se vogliamo custodire l’umano oppure gettare tutto alle ortiche. Se la società ha ancora senso è perché i più forti si prendono cura dei più deboli. Perché al centro delle scelte c’è la tutela dell’uomo, quindi della sua dignità, della sua salute e del suo lavoro. 

Una società che pone al centro i desideri del singolo, valutati mediante un soliloquio davanti allo specchio, è una giungla, nella quale vige la legge del più forte. Lì nessuno lancia occhiatacce se un giaguaro più forte cattura l’ultima preda disponibile davanti al giaguaro più debole, che muore così di fame. È la selezione naturale. Lì nessuno interviene se il giaguaro più forte è circondato da un gruppo di cacciatori di frodo, che lo uccidono per la sua pelle pregiata. Dove vince il più forte, c’è sempre qualcuno più forte di noi. 

Leggi anche https://parcodigiacomo.blogspot.com/2020/08/nuovo-lockdown-psicologi-conte.html 

(Image by Free-Photos from Pixabay)

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