«Ma ne vale davvero la pena?». Chissà se Katharine “Kay”
Graham se lo sarà chiesto nelle notti infinite di quel giugno 1971 destinato a
entrare nella storia. Su un piatto della bilancia la sicurezza tranquilla della
prudenza, le amicizie potenti di lunga data e l’approvazione di un mondo pronto
a garantire profitti sicuri. Sull’altro piatto nulla, se non una convinzione:
la verità si deve pubblicare. Un imperativo categorico capace di mettere in
dubbio tutto, compreso un giornale da sempre di proprietà della propria
famiglia. Un giornale amato ed ereditato, un giornale da far vivere e crescere.
Kay è l’esempio fulgido di “editore illuminato”, dell’editore che, pur non
essendo giornalista, sa capire l’insopprimibile esigenza di raccontare la
verità. Ma Kay è pur sempre l’editore del “The Washington Post”: oltre le battaglie
di libertà, lei è impegnata nella quotidiana lotta di far vivere una creatura
bellissima e complessa quale è un giornale. Come ricorda in uno dei momenti più
delicati del film: «Occorre un giornale per poter continuare a fare le domande
scomode».
Blog di Giacomo Bertoni, giornalista e scrittore. Già la Provincia Pavese, Ossigeno per l'informazione, il Ticino, Radio Mater, iFamNews. Qui si parla di giornalismo, giovani, vita, libri, Chiesa e futuro.
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sabato 24 febbraio 2018
mercoledì 28 settembre 2016
"Bridget Jones's baby" e le solitudini contemporanee
“Lo
ammetto, non ho resistito: sono andato al cinema a vedere “Bridget Jones’s
baby”. Parliamoci chiaro, in questi tempi di incertezza e spaesamento,
l’immagine di noi soli su un divano, con la musica alta e una confezione di
gelato (personalmente preferisco la pizza surgelata), è molto reale. Sì, siamo
divisi fra scuola o università, lavoro, volontariato, sport… Ma il momento “chi
sono?” “dove vado?” “cosa sto combinando?” è spesso presente, e il gelato è una
compagnia ottima. (...)” Per il blog di Costanza Miriano, una piccola riflessione sul
nuovo capitolo delle disavventure di Bridget Jones. Buona lettura!
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