Alla fine arriva Barbara. Ebbene sì, le luci di Barbara D’Urso hanno raggiunto e illuminato il piccolo Tommaso, autore della discussa lettera (in realtà una PEC) indirizzata al premier Conte nella quale chiede delucidazioni sull’autocertificazione che dovrà usare Babbo Natale. Discussa, appunto, per giorni: alzi la mano chi non ha pensato a una manovra propagandistica firmata Casalino.
Ora si scopre che il piccolo Tommaso non si chiama Rocco, esiste e ha davvero cinque anni. Ma il problema non è scoprire la paternità effettiva della missiva, bensì cogliere l’occasione per fare un ripasso.
Torniamo al 5 ottobre del 1990: quel giorno Ordine dei Giornalisti, Federazione nazionale stampa italiana e Telefono Azzurro si siedono attorno a un tavolo e firmano la Carta di Treviso. Cuore della carta deontologica? Lo sviluppo armonico e integrale del minore.
Barbara D’Urso non è iscritta all’albo dei giornalisti, ma svolge un’attività simil-giornalistica (dà notizie, fa rassegne stampa, realizza interviste) e ripete periodicamente, non senza orgoglio: «Siamo sotto testata giornalistica». La testata in questione è Videonews.
Barbara, perché non iscriversi all’albo? Perché non è conveniente. Perché dovrebbe sostenere esami per diventare giornalista e svolgere la formazione continua per restare giornalista. Perché se fosse giornalista non potrebbe condurre il Grande Fratello, perché se fosse giornalista non potrebbe fare pubblicità, perché se fosse giornalista dovrebbe rispettare la deontologia, e rischierebbe sanzioni in caso di violazioni.
Videonews però è una testata giornalistica, per Videonews dunque lavoreranno certamente diversi giornalisti, dunque la Carta di Treviso non può essere messa furbescamente da parte. «In tutte le azioni riguardanti i minori deve costituire oggetto di primaria considerazione “il maggiore interesse del bambino” e che perciò tutti gli altri interessi devono essere a questo sacrificati – recita la Carta –. Nessun bambino dovrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie o illegali nella sua “privacy” né ad illeciti attentati al suo onore e alla sua reputazione».
Tutelare l’anonimato dei minori coinvolti in fatti di cronaca significa preservarli da una pressione mediatica che viola la loro libertà. Al contrario sbattere in prima pagina, o in prima serata, un minore significa appiccicargli addosso un’etichetta, legare il suo nome a quello specifico fatto di cronaca del quale è protagonista, limitando così la sua possibilità di essere altro, di diventare altro, di farsi conoscere come Tommaso e non come “il bambino che scrisse a Conte per Babbo Natale”. Certo, questo non è un fatto di cronaca nera, ma si tratta comunque di un episodio che ha portato (e porterà) una pressione mediatica gigantesca, insostenibile per le spalle di un bambino di cinque anni.
Ancora, la Carta di Treviso aggiunge: «Ordine dei giornalisti e FNSI sono consapevoli che il fondamentale diritto all’informazione può trovare dei limiti quando venga in conflitto con i diritti dei soggetti bisognosi di una tutela privilegiata. Pertanto, fermo restando il diritto di cronaca in ordine ai fatti e alle responsabilità, va ricercato un equilibrio con il diritto del minore ad una specifica e superiore tutela della sua integrità psico-fisica, affettiva e di vita di relazione».
Fare spettacolo, rincorrere lo share e le tendenze sui social non può diventare giustificazione per gettare qualsiasi cosa davanti alle telecamere. Non può farlo lo spettacolo, ma soprattutto non può farlo il giornalismo. Una testata giornalistica non può accettare e promuovere tutto questo. Videonews scriva la parola "fine" su questo teatrino.
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