Quindi, per riassumere, la nuova linea editoriale è “il
virus è stato creato nei laboratori italiani e gli italiani lo stanno
diffondendo nel mondo”? Improvvisamente la comunicazione è cambiata: il
coronavirus non è altro che una banale influenza. La reazione è stata
eccessiva. Bisogna ripartire subito. È ricomparso anche lo spread, cresciuto in
questi giorni di emergenza di 40 punti base. E in effetti, solo nel lodigiano
sono al momento sospese le attività di 3.400 aziende, che danno lavoro a oltre
14.000 dipendenti. Le piccole e medie imprese e le tantissime partite iva della
zona devono avere risposte e aiuti, ne va della forza economica del Paese.
Intanto però, mentre si discute della ripartenza, il coronavirus continua a
diffondersi. In Italia parliamo di 821 ammalati, 46 guariti, 21 deceduti. L’Oms
parla di “minaccia molto alta”, in Giappone si chiudono le scuole di ogni
ordine e grado, a Lodi la situazione nella notte scorsa è peggiorata, con
diversi casi che hanno richiesto il ricovero in terapia intensiva. Gli ospedali
sono in grande affanno. Che fare? Una cosa è certa: è il momento della
responsabilità.
Ci sono Paesi (o, almeno, parti di classi dirigenti straniere) che non aspettano altro che la crisi per dare la spinta verso il baratro all’Italia. Per occupare lo spazio da sempre occupato dall’Italia nella meccanica, nella moda, nel design, nel turismo, nella cultura, nell’enogastronomia, nella ricerca. Fette di mercato abitate da persone e prodotti tricolore, con storie di eccellenza. Ci sono anche dati che non tornano: il nostro Paese, basti pensare al presidente Fontana con la tanto criticata mascherina, ha giocato di trasparenza, rendendo pubblici dati di tamponi e contagi. Ma ciò non è stato fatto da tutti.
Come se ne esce? Restando uniti. Non è banale, è fondamentale. I social sono invasi d’odio verso i lombardi, verso i politici, verso i virologi, verso i vescovi, e si potrebbe continuare all’infinito. Ma a che serve tutto questo?
Ci sono Paesi (o, almeno, parti di classi dirigenti straniere) che non aspettano altro che la crisi per dare la spinta verso il baratro all’Italia. Per occupare lo spazio da sempre occupato dall’Italia nella meccanica, nella moda, nel design, nel turismo, nella cultura, nell’enogastronomia, nella ricerca. Fette di mercato abitate da persone e prodotti tricolore, con storie di eccellenza. Ci sono anche dati che non tornano: il nostro Paese, basti pensare al presidente Fontana con la tanto criticata mascherina, ha giocato di trasparenza, rendendo pubblici dati di tamponi e contagi. Ma ciò non è stato fatto da tutti.
Come se ne esce? Restando uniti. Non è banale, è fondamentale. I social sono invasi d’odio verso i lombardi, verso i politici, verso i virologi, verso i vescovi, e si potrebbe continuare all’infinito. Ma a che serve tutto questo?
A chi giova poi la
schizofrenia di alcuni giornali italiani, impegnati in un fuoco amico doloroso
e incomprensibile? Come se il diritto/dovere di informare valesse di più quando
si tratta di colpire l’Italia. Solo con la collaborazione di tutti si rallenta
il contagio, solo con un sussulto di orgoglio si può ripartire. Non perché “ce
lo chiedono i mercati”, ma perché lo desideriamo noi, per crescere insieme.
Al centro di ogni decisione però rimanga la tutela della salute, in modo particolare delle persone fragili, anziane, con patologie pregresse. Non sono numeri, sono persone. L’economia non può venire prima dell’umanità. E su questo noi italiani non accettiamo lezioni da nessuno.
Al centro di ogni decisione però rimanga la tutela della salute, in modo particolare delle persone fragili, anziane, con patologie pregresse. Non sono numeri, sono persone. L’economia non può venire prima dell’umanità. E su questo noi italiani non accettiamo lezioni da nessuno.
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