Il giornalismo come missione, il giornalismo come
scoperta, il giornalismo come sospensione del giudizio di fronte a una realtà
complessa, spesso più misteriosa delle proprie convinzioni, e dunque tutta da
illuminare. Insomma, il giornalismo.
All’inizio del 2018 e per tutto il 2019 ho avuto la fortuna di essere incaricato da “Ossigeno per l’Informazione” di seguire il processo per l’omicidio di Andy Rocchelli, fotoreporter ucciso in Ucraina il 24 maggio del 2014, mentre documentava le condizioni dei civili coinvolti nella guerra. Oltre un anno di udienze, perizie, testimonianze, immagini, video. Un mare di informazioni da ascoltare, comprendere e poi riportare ai lettori.
All’inizio del 2018 e per tutto il 2019 ho avuto la fortuna di essere incaricato da “Ossigeno per l’Informazione” di seguire il processo per l’omicidio di Andy Rocchelli, fotoreporter ucciso in Ucraina il 24 maggio del 2014, mentre documentava le condizioni dei civili coinvolti nella guerra. Oltre un anno di udienze, perizie, testimonianze, immagini, video. Un mare di informazioni da ascoltare, comprendere e poi riportare ai lettori.
Comprendere: forse è stata questa la sfida più ardua. Seguire
udienze anche di 8 ore, in piedi, prendendo appunti sulle spalle di un collega,
in settanta dentro un’aula con capienza massima di 40 posti. Comprendere il
linguaggio tecnico, comprendere il racconto dei testimoni, comprendere le
domande degli avvocati, con le loro strategie, comprendere le voci degli amici
di Andy e le voci degli amici dell’imputato, comprendere le scelte di altri
colleghi nel raccontare il processo, comprendere il dolore che vive dietro al
processo, nelle persone coinvolte.
Non è raro sentirsi sopraffatti dopo otto ore così, con la consapevolezza di avere davanti solo un paio d’ore per analizzare e condensare tutto questo in 2000 battute. È come dover rinchiudere un mare in tempesta in una bottiglietta da mezzo litro.
Non è raro sentirsi sopraffatti dopo otto ore così, con la consapevolezza di avere davanti solo un paio d’ore per analizzare e condensare tutto questo in 2000 battute. È come dover rinchiudere un mare in tempesta in una bottiglietta da mezzo litro.
Occorre calmare prima la bufera,
riavvolgendo il nastro con tutta la lucidità che si possiede, prelevare i
campioni d’acqua che contengono le notizie più importanti, e poi filtrarli per
eliminare tutte le convinzioni personali, i pregiudizi, per distinguere ciò che
è colore, che restituisce cioè al lettore una parte di tutte le emozioni
registrate durante l’udienza, e ciò che è opinione mascherata da cronaca.
Uno sforzo che siamo chiamati a compiere ogni giorno, anche quando dobbiamo raccontare un cedimento nell’asfalto o un evento culturale. Andy faceva questo, ed era così convinto che questa fosse la strada giusta che, quando ha voluto raccontare la guerra nel Donbass, è andato di persona a fotografare e intervistare i civili. È andato proprio dove si combatteva, per far sapere a noi cosa stesse succedendo.
Uno sforzo che siamo chiamati a compiere ogni giorno, anche quando dobbiamo raccontare un cedimento nell’asfalto o un evento culturale. Andy faceva questo, ed era così convinto che questa fosse la strada giusta che, quando ha voluto raccontare la guerra nel Donbass, è andato di persona a fotografare e intervistare i civili. È andato proprio dove si combatteva, per far sapere a noi cosa stesse succedendo.
Oggi, quando cammino per le strade di Pavia e vedo
i jersey antiterrorismo dipinti con le immagini dedicate ad Andy, sono felice
di aver potuto raccontare la sua storia, e di continuare a farlo. Perché, al di
là di come si è concluso il primo grado di giudizio e di come si concluderanno
i prossimi, Andy rimane un esempio di giornalismo vissuto nella ricerca, nella
curiosità, nel desiderio di imparare e di restituire al lettore la verità
trovata. Un giornalismo che nello scontro fra proprie convinzioni e realtà fa
prevalere la realtà. Magari commentandola, magari criticandola, ma dando al
lettore la possibilità di sapere come stanno le cose.
Un esempio da ricordare, di fronte a una crisi del settore che può essere un invito a tornare al giornalismo di strada, che mette in discussione il giornalista e il lettore, lontano dai salotti, dalle interviste comode, dalle risposte prevedibili, magari false ma rassicuranti.
Un esempio da ricordare, di fronte a una crisi del settore che può essere un invito a tornare al giornalismo di strada, che mette in discussione il giornalista e il lettore, lontano dai salotti, dalle interviste comode, dalle risposte prevedibili, magari false ma rassicuranti.
Un esempio che rimane nella memoria, come
rimangono nella memoria i genitori e i famigliari di Andy, che hanno affrontato
le udienze con dignità silenziosa, anche di fronte alle immagini dell’autopsia,
anche durante le ricostruzioni dei periti della difesa, anche quando il rumore
degli spari ha invaso una, due, dieci volte l’aula del tribunale. Una battaglia
dolorosa per cercare la verità sulla morte di Andy e per ricordare che senza
giornalismo non c’è democrazia.
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