Dopo l’onnipresente «Dobbiamo difendere la democrazia dal fascismo», spetta a Giorgio Gori firmare la perla definitiva: «Guardo e riguardo queste persone sfilare. Chi sono? Proletari, mi verrebbe da dire – scrive su Twitter il sindaco di Bergamo, commentando l’assalto a Capitol Hill –. Poveracci poco istruiti, marginali, facilmente manipolabili, junk food e fake news, marionette nelle mani di uno sciagurato li ha usati per il suo potere. È così che si diventa fascisti?».
Nuove parole che si gettano nel mare delle analisi preconfezionate, surgelate, passate qualche minuto nel microonde e offerte al cittadino che, quando va bene, si sente smarrito come il casalingo di Voghera a Mumbai. Ebbene, di queste analisi possiamo anche fare a meno. Non per quella inestirpabile vena di classismo che in qualche modo le dota anche di un certo fascino, seppur decadente, quanto perché non aiutano a comprendere la realtà.
A Capitol Hill è avvenuto qualcosa di drammatico, di inimmaginabile, un evento che cambierà per sempre l’immaginario del Campidoglio, e l’orrore si risolve con «sono stati i fascisti aizzati da Trump»? Certo, si riempie una pagina in più con una narrazione rassicurante, condivisa dall’intellighenzia che conta, ma si dimentica volutamente la complessità dell’America.
Lo ha ricordato bene Mario Sechi, direttore di Agi: «Ad oggi ci sono milioni di americani convinti che il voto sia stato viziato da brogli». E questi cittadini hanno trovato nei principali media indifferenza o derisione. Per mesi. Una indifferenza simile alle «proteste pacifiche» con le quali gli Antifa hanno messo a ferro e fuoco intere città per mesi. E chissà cosa sarebbe successo se dalle urne fosse uscito vincitore Trump (si vedano i negozi sbarrati e i cittadini chiusi in casa o pronti a difendersi con le armi).
Ci sono ancora troppi interrogativi senza risposta attorno a Capitol Hill, le risposte facili non possono placare il legittimo desiderio di verità dei cittadini, americani e non solo. Costanza Miriano, in un lungo post su Facebook, ha rilanciato la questione: «Forse è arrivato il momento per quelli di noi giornalisti che siamo in buona fede, cioè desideriamo raccontare la realtà pur avendo le nostre idee, di fare una riflessione su come si sia potuta scavare una distanza tanto profonda tra il sentire comune, non dico certo unanime ma sicuramente ampiamente diffuso, e il coro compatto, unito, assordante di tutti i media». E ancora: «Possibile che nessuno di noi abbia la possibilità di raccontare anche senza condividerle le ragioni di quella metà del paese - brogli o no si tratta della metà - che voleva ancora Trump?».
Dato che abbonda la pars destruens, ecco almeno un assaggio di pars construens: su iFamNews oggi è possibile leggere due pezzi sulle vicende americane. L’editoriale del direttore Marco Respinti, “I due corpi di Trump”, per analizzare quanto avvenuto a Capitol Hill nel contesto di una vera e propria guerra civile americana, che dura da mesi (se non anni), ma è derubricata a manifestazioni per la libertà. E “Il fascismo degli Antifa”, che racconta la spedizione che un gruppo di Antifa ha organizzato a casa del senatore Josh Hawley, colpevole di aver espresso dubbi sul risultato delle elezioni presidenziali.
Il giornalismo deve tornare alla cronaca, senza più mescolamenti ideologici con la critica. Ma la democrazia che perde il giornalismo è un regime, dove l’unica voce che risuona nelle piazze è quella del padrone.
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(Image by Charles Deluvio from Unsplash)
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