Il giornalismo oggi è come Venezia. Una realtà bellissima
ma ferita, trasformata eppure ancora confusa, un grande passato dal futuro
incerto. L’emergenza Covid-19 sembra aver dato il colpo di grazia a un sistema
che già arrancava dietro alla rivoluzione digitale: durante l’isolamento ci
sono testate che hanno registrato un -60% di copie cartacee vendute. Boom di
clic sui siti, ma quasi ferma la crescita degli abbonamenti digitali, unica
vera alternativa sostenibile alle copie cartacee.
I giornali in crisi
Terminata la fase più
concitata dell’emergenza i clic sui siti dei giornali sono tornati a diminuire,
anche se qualche testata conserva un tesoretto inaspettato, ma le copie vendute
in edicola non sembrano tornare ai livelli pre-covid. Per non parlare della
pubblicità che, soprattutto nelle realtà locali, si è quasi fermata durante il
lockdown.
Il problema è che la bellissima città affondava e si spopolava già
prima del 23 febbraio scorso. Da almeno 10 anni calano le copie vendute, non
crescono abbastanza le copie digitali, il turnover è bloccato, i giovani
giornalisti sono esclusi dalle redazioni (se non per qualche sostituzione), si
allarga il distacco fra ciò che la gente vive e ciò che il giornale scrive.
Rivoluzione digitale e ideologia
Recentemente ho avuto il piacere di intervistare per iFamNews la collega Monica Mondo, che ci ha regalato una efficace fotografia in movimento
del giornalismo italiano. Con un punto di partenza severo: da anni si vede la
crisi, ma ancora manca la soluzione.
Forse più che in altri settori, per il
giornalismo la parola d’ordine oggi dev’essere ripartenza. Una ripartenza
rinnovata. In primis, investendo sui giovani. Giovani che oggi spesso si
trovano a vivere una situazione paradossale: hanno voglia di fare, passione,
forse anche un po’ di talento, dunque si vedono affidare sulle spalle grandi
responsabilità, compresa la firma in prima pagina, reportage e inchieste. Lavorano
dal lunedì alla domenica, tutte e quattro le stagioni, spesso affiancano al
tradizionale lavoro di cronisti quello di social media manager, per promuovere
anche tra i loro coetanei la testata per la quale scrivono, e alla fine si ritrovano un co.co.co (se va bene) con pagamento di pochi euro a pezzo, senza
né ferie né malattia.
Tutele ai giovani
Eppure spesso sono proprio loro che,
stando in strada ogni giorno, tengono vivo il legame fra lettori e giornale.
Che ascoltano le fonti, le verificano, vanno di persona nei luoghi dove sono
segnalati i problemi, e tutto questo senza tutela alcuna se non la compagnia
del fotografo del giornale. Il giornalismo non può diventare un lavoro per
ricchi. Il giornalismo non può diventare il passatempo del fine settimana o del
pomeriggio di chi fa altri lavori. Il giornalismo richiede una grande
professionalità, una dura gavetta, un’attenzione costante a ciò che accade nel
mondo, anche a quelle notizie che non “bucano lo schermo”, perché non di rado
sono segnali premonitori di eventi ben più grandi.
Tornare all’essenziale
Nel
crepuscolo di Venezia, che proprio al tramonto svela la sua vera magia, si può
intravedere la cura: tornare all’essenziale, alla bellezza. Con rispetto per
quello che Venezia è, ovvero un capolavoro che parla al visitatore ancora
capace di meravigliarsi.
Il giornalismo deve affrontare oggi due grandi sfide:
la nuova sostenibilità economica, troppo a lungo data per scontata, e il
superamento dell’ideologia, che compatta ma allo stesso tempo fa perdere uno
sguardo di ampio respiro sulla realtà. E senza la fiducia dei lettori, questo
non sarà possibile. Si riparte dall’essenziale: cercare la verità e
raccontarla. Con libertà, indipendenza, coraggio, rispetto.
L’Italia che perde
Venezia è una corona che perde una delle sue pietre più preziose. La democrazia
che perde il giornalismo è un regime, dove l’unica voce che risuona nelle
piazze è quella del padrone.
(Image by Nijwam Swargiary from Unsplash)
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