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martedì 10 settembre 2019

11 settembre: 18 anni dopo risuona la memoria di Oriana

Stavo guardando la Melevisione. Era un pomeriggio come tanti altri, con le avventure del Fantabosco a fare da pausa tra un compito e l’altro. Poi, all’improvviso, le immagini sono cambiate. Oggi non riesco a ricordare nemmeno se ci sia stata la sigla dell’edizione straordinaria, in quel caso del Tg3. Ricordo solo che all’improvviso comparvero sullo schermo due grandi ciminiere. Sì, la mia testa, di fronte all’inspiegabile, provò ad azzardare questa ipotesi. Una era accesa, una spenta. Un documentario? 

La verità la capii pochi istanti dopo, quando le telecamere inquadrarono la gente che fuggiva terrorizzata. Fuggiva da un orrore che superava qualsiasi immaginazione. L’America? New York? Passarono altri istanti ed ecco, un aereo di linea comparve. Cosa ci fa lì? Vira, vira, vira! E invece continuò il suo viaggio centrando la seconda torre. Ricordo la paura, ricordo la corsa verso il campanello dei vicini, le prime impressioni, la sensazione che il pericolo fosse vicino anche per noi, che eravamo dall’altra parte dell’oceano. Ricordo le preghiere a scuola il giorno dopo, ricordo i dibattiti che infiammarono l’opinione pubblica nei giorni successivi. 

Una foto delle Torri Gemelle prima dell'attentato dell'11 settembre 2001
Image by Gerd Altmann from Pixabay

In modo particolare il 29 settembre. Quando il 29 settembre del 2001 uscì in prima pagina a nove colonne “La rabbia e l’orgoglio”, il Corsera andò esaurito in tutte le edicole italiane già alle 10 del mattino. Il nome “Oriana Fallaci” faceva la differenza. Perché? Perché Oriana era una “ostinata guastafeste al servizio dei lettori”, come la ricorda Francesco Cevasco. Perché leggerla significa essere sbattuti contro il muro, costretti a fare i conti con la verità. E questo deve fare il giornalismo. Infastidirci, spaventarci, incoraggiarci, svegliarci. 

Oggi tanti credono che il giornalismo non serva più, che le notizie si possano trovare cercandole su Google. Ciò che non serve oggi è un giornalismo asservito al potere. Un giornalismo rassicurante, ideologizzato, comodo, superficiale, grossolano, prevedibile o provocatoriamente aggressivo. Un giornalismo che insulta i suoi lettori, definendoli ignoranti e inutili, un giornalismo che seduce i suoi lettori, fingendo rispetto per nascondere meglio l’inganno. 

Ma del giornalismo vero, capace di farsi sentinella di fronte al potere, qualsiasi potere, capace di vivere la storia, leggerne la verità tra le righe e raccontarla, ecco, di questo giornalismo abbiamo un disperato bisogno. Oggi che le decisioni non si prendono più solo nei vecchi palazzi del potere, servono voci oneste e coraggiose che ci dicano la verità.

Le Torri Gemelle tornano a segnare lo skyline della città grazie a un'illuminazione speciale
Image by Jesse Mills on Unsplash