La borsa del Piccolo Teatro è ancora lì. In un angolo
nascosto e protetto dell’armadio. Al suo interno, i biglietti autografati della
Variante di Luneburg e il programma dello spettacolo. Oltre al DVD “Milva canta
Brecht”. Sembra una settimana fa, invece tutto risale alla sera del 22 marzo
2011.
E «tutto mi ricorda» l’incontro nei camerini, al termine della
rappresentazione, «con le mani un po’ tremanti» che porgevano un piccolo dono
di Pavia e una copia con dedica di “Toppy, un moscerino dal cuore grande”. Lo
sguardo divertito, sorpreso eppure attento e curioso. Le battute sui dolci
pavesi e sul libro di favole. La chioma raccolta ma sempre protagonista. La
stanchezza che spariva nell’incontro con il pubblico.
«È a questo che pensi?»
Poi
la memoria corre verso il pomeriggio di domenica 1° aprile 2012, alle 14, nella
piazzetta davanti all’ingresso artisti del teatro Arena del Sole di Bologna. Il
taxi che si avvicina, la portiera che si apre e la cascata rossa che subito ne
esce. Anche quel giorno un libro di favole in dono, il secondo. Anche quel
giorno interesse sincero, nonostante la fatica. La speranza di un ripensamento era forte, ma quando alcune ore dopo il sipario si è chiuso non c’erano più
dubbi: «quando
il sipario calerà, io me ne andrò».
Contro ogni regola del teatro, gli applausi avevano interrotto decine di volte lo spettacolo, come a sostenere con il cuore il passo della Rossa. Un affetto e una stima sovrabbondanti, ma questi sentimenti nascevano da un dolore che Milva non voleva condividere. Perché per lei il palcoscenico è sempre stato un lavoro. Un lavoro amato, fatto con passione travolgente, un lavoro totalizzante. Ma, appunto, un lavoro. Sul palco si porta lo studio, la professionalità, il talento, le emozioni. Il resto è la vita reale, il resto è la differenza fra spettacolo e spettacolarizzazione, fra rappresentazione e reality.
Contro ogni regola del teatro, gli applausi avevano interrotto decine di volte lo spettacolo, come a sostenere con il cuore il passo della Rossa. Un affetto e una stima sovrabbondanti, ma questi sentimenti nascevano da un dolore che Milva non voleva condividere. Perché per lei il palcoscenico è sempre stato un lavoro. Un lavoro amato, fatto con passione travolgente, un lavoro totalizzante. Ma, appunto, un lavoro. Sul palco si porta lo studio, la professionalità, il talento, le emozioni. Il resto è la vita reale, il resto è la differenza fra spettacolo e spettacolarizzazione, fra rappresentazione e reality.
Oggi gli occhi di Milva, quegli occhi nei quali
Alda Merini trovava la felicità, sono nascosti al pubblico, ma grazie alle foto
preziose di Edith Meier si possono rivedere le mani di Milva, mani che raccontano una
fragilità nuova, vera, umana. Così, tra passato e presente, Milva non poteva che entrare in “Un ponte tra le Valli” e diventare Memoria, personaggio misterioso la cui
apparente superbia è un netto rifiuto dell’ipocrisia.
«Con l’ansia di un telecronista ti commenterei»
Da collega, inutile nascondere l’invidia per l’intervista esclusiva realizzata da Mario Luzzatto Fegiz per il Corsera nel luglio 2019.
Fegiz chiede se il palcoscenico manca, e Milva risponde: «Sempre e
mai. Fra i sogni, qualche volta è un incubo ma anche un bisogno e una missione
che, a mio modo, credo di aver compiuto». Quante domande ci sarebbero ancora da
fare.
Per esempio, com’è la vita di chi ora «aspetta all’angolo come Marlene»? Dopo 60 anni di viaggi, incontri e nuovi inizi, come si vive oggi la quotidianità? Come si apprezzano le piccole cose semplici della vita, anche nella loro ingannevole banalità? Il cenare sempre alla stessa tavola, nella stessa casa, con le stesse persone. Il vedere fuori dalla finestra sempre la stessa città. L’ascoltare sempre voci conosciute sulle scale appena fuori dalla porta.
E dove corre la mente? Forse oltre le luci della ribalta, più in là dei manifesti appesi nelle città di mezzo mondo, fino agli incontri più semplici, alla realtà toccata durante le pause tra una prova e l’altra? Quante storie nella storia, quante voci con la voce. Forse, anche per l’ultima diva dal fascino mitteleuropeo la vita intera è un grande coro. Che oggi nel silenzio del riposo regala l’eco di un’avventura unica. Ci sono sprazzi di vita durante i quali anche Milva sente nostalgia?
Per esempio, com’è la vita di chi ora «aspetta all’angolo come Marlene»? Dopo 60 anni di viaggi, incontri e nuovi inizi, come si vive oggi la quotidianità? Come si apprezzano le piccole cose semplici della vita, anche nella loro ingannevole banalità? Il cenare sempre alla stessa tavola, nella stessa casa, con le stesse persone. Il vedere fuori dalla finestra sempre la stessa città. L’ascoltare sempre voci conosciute sulle scale appena fuori dalla porta.
E dove corre la mente? Forse oltre le luci della ribalta, più in là dei manifesti appesi nelle città di mezzo mondo, fino agli incontri più semplici, alla realtà toccata durante le pause tra una prova e l’altra? Quante storie nella storia, quante voci con la voce. Forse, anche per l’ultima diva dal fascino mitteleuropeo la vita intera è un grande coro. Che oggi nel silenzio del riposo regala l’eco di un’avventura unica. Ci sono sprazzi di vita durante i quali anche Milva sente nostalgia?
«Socchiudi piano la porta»
Un vero
giornalista non smette mai di sperare nell’intervista impossibile. Un vero
ammiratore non smette mai di sperare nel ritorno. A volte, quando «una coperta
di lana e ciniglia si asciuga al vento dell'est», sembra quasi di intravedere
sul mare le grandi vele.
Non è così, «mi voltai, come in un sogno, e mai più mi svegliai», e gli ammiratori più fedeli, quelli che la Rossa ha sempre preferito chiamare “amici”, sanno rispettare la scelta. L’hanno sofferta, compresa, assimilata. Ma dopo quasi 10 anni da quella lettera di addio alle scene che tanto commosse, è doveroso ricordarlo: ancora oggi, noi siamo tante figure «in attesa nel porto di Brest».
Non è così, «mi voltai, come in un sogno, e mai più mi svegliai», e gli ammiratori più fedeli, quelli che la Rossa ha sempre preferito chiamare “amici”, sanno rispettare la scelta. L’hanno sofferta, compresa, assimilata. Ma dopo quasi 10 anni da quella lettera di addio alle scene che tanto commosse, è doveroso ricordarlo: ancora oggi, noi siamo tante figure «in attesa nel porto di Brest».
Grazie Giacomo per questo articolo così delicato e possente ! come Lei, come la Signora, la Rossa, la PAntera, l'UNICA !
RispondiEliminaNon deve invidiare il collega Fegiz. Il suo articolo e' molto piu' bello perche' piu' sentito. Azzeccatissime le citazioni. Complimenti e grazie!
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