E ancora, come ogni anno, la tradizionale processione dei
ceri nella Messa della sera per la
Commemorazione dei defunti. All’altare si porta un cero con il nome della
persona cara morta durante l’anno, e ogni piccola fiamma arderà, una dopo l’altra,
durante il nuovo anno liturgico accanto al Santissimo. Tanti nomi, tante
storie, tanti incontri.
La vita del quartiere passa anche da qui, dalla croce,
segno della più grande sofferenza e della più grande speranza. «Sulla
cappella del cimitero del mio paesello c’è una scritta, “Resurrecturis” – ha ricordato
don Antonio Lecchi, parroco del San Luigi Orione –, è una perifrastica attiva
che indica un’azione imminente, “a coloro che stanno per risorgere”. Questa
sera siamo qui per fare memoria, non solo per ricordare un passato, ma per
celebrarlo nell’attesa della risurrezione».
I 64 ceri sono stati portati
davanti all’altare mentre il coro cantava a piena voce “Cristo è risorto
veramente alleluia”. Ritorna alla mente una frase pronunciata da don Antonio
dopo la processione di due anni fa: «Tanti ceri formano una croce. E noi
sacerdoti siamo qui. Piangiamo con voi, crediamo con voi, speriamo con voi».
«La
liturgia ci invita a condividere il gaudio celeste dei santi, ad assaporarne la
gioia. I santi non sono una esigua casta di eletti, ma una folla senza numero,
verso la quale la liturgia ci esorta oggi a levare lo sguardo. In tale
moltitudine non vi sono soltanto i santi ufficialmente riconosciuti, ma i
battezzati di ogni epoca e nazione, che hanno cercato di compiere con amore e
fedeltà la volontà divina. Della gran parte di essi non conosciamo i volti e
nemmeno i nomi, ma con gli occhi della fede li vediamo risplendere, come astri
pieni di gloria, nel firmamento di Dio». (dall’omelia per la solennità di
Ognissanti di Papa Benedetto XVI, 01/11/2006, Roma)
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