C’è un’attesa da riscoprire, c’è un percorso da
riprogrammare, c’è un orizzonte da raggiungere. Non sono “patacche” le
obiezioni alla quotidianità emerse nel percorso di preparazione al Natale
proposto ai giovani dalla diocesi. Due i momenti: gli esercizi spirituali in
preparazione all’Avvento prima, la messa di Avvento per il mondo
dell’università poi.
Il primo passo, come ha spiegato perfettamente padre
Maurizio Botta, è accettare la nostra condizione di disadattati: «La cultura
contemporanea, profondamente intrisa di ateismo materialista, ci racconta che
ogni sforzo di bene è inutile, che siamo tutti numeri in un interminabile
processo produttivo, che dopo la vita è finito tutto, stop, zero. La fatica del
reale è troppa, la vita a volte è troppo pesante, difficile, ingiusta.
Infinitamente triste. Ma noi siamo dei disadattati». La nostra insoddisfazione
è così grande che “meno dell’infinito tutto ci annoia”, perché abbiamo tutti
dentro, seppur a volte celata alla perfezione, una piccola scintilla di divino.
È questa natura divina che rende il cuore dell’uomo profondamente umano, è
grazie a questa scintilla che possiamo dirci fratelli e camminare insieme nel
rispetto e nella pace.
Ma lo stravolgimento morale, sociale e antropologico in
atto oggi ha un obiettivo chiaro: cancellare la dignità intrinseca dell’uomo
per poi redistribuirla tramite etichette e categorie di chiaro stampo
ideologico. Un antidoto prezioso è donato dall’Avvento, come ha ricordato il
Vescovo Corrado: «È come se la vita che vibra in noi chiedesse sempre di più,
è come se ci fosse in noi un’attesa immensa e mai soddisfatta totalmente di
bellezza, di felicità, di positività, per cui siamo sempre tesi a qualcosa,
aperti a un orizzonte che ogni volta si sposta più in là, siamo appunto esseri
in attesa, in tensione, ed è questa tensione viva che genera la passione della
conoscenza, la sete di verità, la ricerca di un significato nella vita».
Ecco
allora l’impegno per questo tempo di grazia: «teniamo il cuore desto
nell’attesa, non permettiamo che sia come addormentato o stordito da false
illusioni di felicità, e impariamo a riconoscere il Signore che viene a noi,
attraverso l’incontro con persone vive che non ci lasciano indifferenti, che ci
colpiscono per un’umanità resa più viva e più intensa dalla fede,
dall’appartenenza a Cristo nella sua Chiesa, nella comunità dei suoi amici, che
Gesù stesso convoca, raduna e edifica». (Articolo pubblicato su “il Ticino” di
venerdì 22 dicembre 2017, anno 126, n. 47, p. 23)
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