«(…) La società civile si trova oggi all’interno di un
complesso processo culturale che mostra la fine di un’epoca e l’incertezza per
la nuova che emerge all’orizzonte. Le grandi conquiste di cui si è spettatori
provocano a verificare il positivo cammino che l’umanità ha compiuto nel
progresso e nell’acquisizione di condizioni di vita più umane. La crescita di
responsabilità nei confronti di Paesi ancora in via di sviluppo è certamente un
segno di grande rilievo, che mostra la crescente sensibilità per il bene comune.
Insieme a questo, comunque, non è possibile sottacere i gravi pericoli a cui
alcune tendenze culturali vorrebbero orientare le legislazioni e, di
conseguenza, i comportamenti delle future generazioni. È oggi verificabile un
certo relativismo culturale che offre evidenti segni di sé nella teorizzazione
e difesa del pluralismo etico che sancisce la decadenza e la dissoluzione della
ragione e dei principi della legge morale naturale. A seguito di questa tendenza
non è inusuale, purtroppo, riscontrare in dichiarazioni pubbliche affermazioni
in cui si sostiene che tale pluralismo etico è la condizione per la democrazia.
Avviene così che, da una parte, i cittadini rivendicano per le proprie scelte
morali la più completa autonomia mentre, dall’altra, i legislatori ritengono di
rispettare tale libertà di scelta formulando leggi che prescindono dai principi
dell’etica naturale per rimettersi alla sola condiscendenza verso certi
orientamenti culturali o morali transitori, come se tutte le possibili
concezioni della vita avessero uguale valore.
Nel contempo, invocando ingannevolmente il valore della tolleranza, a una buona parte dei cittadini — e tra questi ai cattolici — si chiede di rinunciare a contribuire alla vita sociale e politica dei propri Paesi secondo la concezione della persona e del bene comune che loro ritengono umanamente vera e giusta, da attuare mediante i mezzi leciti che l’ordinamento giuridico democratico mette ugualmente a disposizione di tutti i membri della comunità politica. La storia del XX secolo basta a dimostrare che la ragione sta dalla parte di quei cittadini che ritengono del tutto falsa la tesi relativista secondo la quale non esiste una norma morale, radicata nella natura stessa dell’essere umano, al cui giudizio si deve sottoporre ogni concezione dell’uomo, del bene comune e dello Stato. (…)
La Chiesa è consapevole che la via della democrazia se, da una parte, esprime al meglio la partecipazione diretta dei cittadini alle scelte politiche, dall’altra si rende possibile solo nella misura in cui trova alla sua base una retta concezione della persona. Su questo principio l’impegno dei cattolici non può cedere a compromesso alcuno, perché altrimenti verrebbero meno la testimonianza della fede cristiana nel mondo e la unità e coerenza interiori dei fedeli stessi. La struttura democratica su cui uno Stato moderno intende costruirsi sarebbe alquanto fragile se non ponesse come suo fondamento la centralità della persona. È il rispetto della persona, peraltro, a rendere possibile la partecipazione democratica. Come insegna il Concilio Vaticano II, la tutela «dei diritti della persona umana è condizione perché i cittadini, individualmente o in gruppo, possano partecipare attivamente alla vita e al governo della cosa pubblica». (…)
Nel contempo, invocando ingannevolmente il valore della tolleranza, a una buona parte dei cittadini — e tra questi ai cattolici — si chiede di rinunciare a contribuire alla vita sociale e politica dei propri Paesi secondo la concezione della persona e del bene comune che loro ritengono umanamente vera e giusta, da attuare mediante i mezzi leciti che l’ordinamento giuridico democratico mette ugualmente a disposizione di tutti i membri della comunità politica. La storia del XX secolo basta a dimostrare che la ragione sta dalla parte di quei cittadini che ritengono del tutto falsa la tesi relativista secondo la quale non esiste una norma morale, radicata nella natura stessa dell’essere umano, al cui giudizio si deve sottoporre ogni concezione dell’uomo, del bene comune e dello Stato. (…)
La Chiesa è consapevole che la via della democrazia se, da una parte, esprime al meglio la partecipazione diretta dei cittadini alle scelte politiche, dall’altra si rende possibile solo nella misura in cui trova alla sua base una retta concezione della persona. Su questo principio l’impegno dei cattolici non può cedere a compromesso alcuno, perché altrimenti verrebbero meno la testimonianza della fede cristiana nel mondo e la unità e coerenza interiori dei fedeli stessi. La struttura democratica su cui uno Stato moderno intende costruirsi sarebbe alquanto fragile se non ponesse come suo fondamento la centralità della persona. È il rispetto della persona, peraltro, a rendere possibile la partecipazione democratica. Come insegna il Concilio Vaticano II, la tutela «dei diritti della persona umana è condizione perché i cittadini, individualmente o in gruppo, possano partecipare attivamente alla vita e al governo della cosa pubblica». (…)
Quando l’azione politica viene a confrontarsi
con principi morali che non ammettono deroghe, eccezioni o compromesso alcuno,
allora l’impegno dei cattolici si fa più evidente e carico di responsabilità.
Dinanzi a queste esigenze etiche fondamentali e irrinunciabili, infatti, i
credenti devono sapere che è in gioco l’essenza dell’ordine morale, che
riguarda il bene integrale della persona. E’ questo il caso delle leggi civili
in materia di aborto e di eutanasia (da non confondersi con la rinuncia
all’accanimento terapeutico, la quale è, anche moralmente, legittima), che
devono tutelare il diritto primario alla vita a partire dal suo concepimento
fino al suo termine naturale. Allo stesso modo occorre ribadire il dovere di
rispettare e proteggere i diritti dell’embrione umano. Analogamente, devono
essere salvaguardate la tutela e la promozione della famiglia, fondata sul
matrimonio monogamico tra persone di sesso diverso e protetta nella sua unità e
stabilità, a fronte delle moderne leggi sul divorzio: ad essa non possono
essere giuridicamente equiparate in alcun modo altre forme di convivenza, né
queste possono ricevere in quanto tali un riconoscimento legale. Così pure la
garanzia della libertà di educazione ai genitori per i propri figli è un
diritto inalienabile, riconosciuto tra l’altro nelle Dichiarazioni
internazionali dei diritti umani. Alla stessa stregua, si deve pensare alla
tutela sociale dei minori e alla liberazione delle vittime dalle moderne forme
di schiavitù (si pensi ad esempio, alla droga e allo sfruttamento della
prostituzione). Non può essere esente da questo elenco il diritto alla libertà
religiosa e lo sviluppo per un’economia che sia al servizio della persona e del
bene comune, nel rispetto della giustizia sociale, del principio di solidarietà
umana e di quello di sussidiarietà, secondo il quale «i diritti delle persone,
delle famiglie e dei gruppi, e il loro esercizio devono essere riconosciuti».
Come non vedere, infine, in questa esemplificazione il grande tema della pace.
Una visione irenica e ideologica tende, a volte, a secolarizzare il valore
della pace mentre, in altri casi, si cede a un sommario giudizio etico
dimenticando la complessità delle ragioni in questione. La pace è sempre
«frutto della giustizia ed effetto della carità»; esige il rifiuto radicale e
assoluto della violenza e del terrorismo e richiede un impegno costante e
vigile da parte di chi ha la responsabilità politica. (…)
Tutti i fedeli sono
ben consapevoli che gli atti specificamente religiosi (professione della fede,
adempimento degli atti di culto e dei Sacramenti, dottrine teologiche,
comunicazioni reciproche tra le autorità religiose e i fedeli, ecc.) restano
fuori dalle competenze dello Stato, il quale né deve intromettersi né può in
modo alcuno esigerli o impedirli, salve esigenze fondate di ordine pubblico. Il
riconoscimento dei diritti civili e politici e l’erogazione dei pubblici
servizi non possono restare condizionati a convinzioni o prestazioni di natura
religiosa da parte dei cittadini.
Questione completamente diversa è il
diritto-dovere dei cittadini cattolici, come di tutti gli altri cittadini, di
cercare sinceramente la verità e di promuovere e difendere con mezzi leciti le
verità morali riguardanti la vita sociale, la giustizia, la libertà, il
rispetto della vita e degli altri diritti della persona. Il fatto che alcune di
queste verità siano anche insegnate dalla Chiesa non diminuisce la legittimità
civile e la “laicità” dell’impegno di coloro che in esse si riconoscono,
indipendentemente dal ruolo che la ricerca razionale e la conferma procedente
dalla fede abbiano svolto nel loro riconoscimento da parte di ogni singolo
cittadino. La “laicità”, infatti, indica in primo luogo l’atteggiamento di chi
rispetta le verità che scaturiscono dalla conoscenza naturale sull’uomo che
vive in società, anche se tali verità siano nello stesso tempo insegnate da una
religione specifica, poiché la verità è una. Sarebbe un errore confondere la
giusta autonomia che i cattolici in politica debbono assumere con la
rivendicazione di un principio che prescinde dall’insegnamento morale e sociale
della Chiesa. (…)». (Da “Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti
l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica”, Joseph
Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Roma, 24
novembre 2002) (foto da “L’Osservatore Romano")
Dovere dei laici è la difesa dei principi non negoziabili
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