Sabato 29 luglio 2017, Inghilterra: a Charlie Gard,
bambino nato con la sindrome da deplezione del DNA mitocondriale, viene spento
il ventilatore che lo aiuta a respirare. Secondo medici e giudici “la sua
qualità della vita è troppo bassa”. Charlie muore così soffocato, davanti agli
occhi disperati e impotenti dei suoi giovani genitori. Un anno fa, come ben
ricorda alla Nuova Bussola Quotidiana la giornalista Benedetta Frigerio (unica
inviata italiana a Liverpool), il piccolo Alfie Evans viene ucciso per
soffocamento. La sua vita, come emerse durante le udienze, era considerata “futile”.
Oggi, in Francia, Vincent Lambert, uomo in stato di coscienza minima da 11 anni
dopo un grave incidente, è condannato a morire di fame e di sete “per la sua
dignità”.
C’è un filo rosso che lega le tre vicende, e che unisce a sé altre storie, altri nomi, altre vite spezzate. C’è il volto macabro e oscuro di un’ideologia antiumana, che mira a scartare chiunque non sia più produttivo, sfruttabile, chiunque non sia manipolabile come una pedina grigia, chiunque possa ricordare al mondo, attraverso la sua fragile e magari silenziosa esistenza, che la vita non è solo routine ideologizzata a servizio di un padrone. Ma dove l’ideologia si fa opprimente, la speranza cresce. Perché anche Mordor ha una data di scadenza.
Come ha ricordato papa Francesco il 17 novembre del 2017, incontrando i
partecipanti al meeting regionale europeo della “World Medical Association”: «Occorre dunque
tenere in assoluta evidenza il comandamento supremo della prossimità responsabile, come chiaramente
appare nella pagina evangelica del Samaritano (cfr Luca 10, 25-37). Si potrebbe
dire che l’imperativo categorico è quello di non abbandonare mai il malato.
L’angoscia della condizione che ci porta sulla soglia del limite umano supremo,
e le scelte difficili che occorre assumere, ci espongono alla tentazione di
sottrarci alla relazione. Ma questo è il luogo in cui ci vengono chiesti amore
e vicinanza, più di ogni altra cosa, riconoscendo il limite che tutti ci
accumuna e proprio lì rendendoci solidali. Ciascuno dia amore nel modo che gli
è proprio: come padre o madre, figlio o figlia, fratello o sorella, medico o
infermiere. Ma lo dia!».
E da qui, come scrive papa Benedetto XVI nell’enciclica
“Spe Salvi”, nasce la speranza: «Ancora: noi abbiamo bisogno delle speranze –
più piccole o più grandi – che, giorno per giorno, ci mantengono in cammino. Ma
senza la grande speranza, che deve superare tutto il resto, esse non bastano.
Questa grande speranza può essere solo Dio, che abbraccia l'universo e che può
proporci e donarci ciò che, da soli, non possiamo raggiungere. Proprio l'essere
gratificato di un dono fa parte della speranza. Dio è il fondamento della
speranza – non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano e che
ci ha amati sino alla fine: ogni singolo e l'umanità nel suo insieme. Il suo
regno non è un aldilà immaginario, posto in un futuro che non arriva mai; il
suo regno è presente là dove Egli è amato e dove il suo amore ci raggiunge.
Solo il suo amore ci dà la possibilità di perseverare con ogni sobrietà giorno
per giorno, senza perdere lo slancio della speranza, in un mondo che, per sua
natura, è imperfetto. E il suo amore, allo stesso tempo, è per noi la garanzia
che esiste ciò che solo vagamente intuiamo e, tuttavia, nell'intimo aspettiamo:
la vita che è “veramente” vita».
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