È il «duello drammatico tra la morte e la vita, tra il bene e il
male, tra la speranza e il nulla» il cuore del messaggio pasquale del
vescovo Corrado Sanguineti ai pavesi. Un messaggio che parte dai numerosi «segni
di impoverimento della speranza nel nostro quotidiano», segni impressi anche nelle strade
della nostra bella Pavia, ma in parte nascosti dalla velocità frenetica delle
giornate. Se lo sguardo si aprisse senza filtri resterebbe ferito, perché
vedrebbe i graffi che la “globalizzazione dell’indifferenza” sta lasciando sulla
città.
Basterebbe guardare nelle case di riposo, dove testimoni e attori della
storia pavese ormai anziani non di rado sono parcheggiati in solitudine, come
libri bellissimi che nessuno ha più voglia di leggere. Si potrebbe chiedere ai
tanti volontari pavesi, che ogni giorno in vari modi portano sorrisi e
compagnia ad anziani, bambini e ammalati di raccontare la grande dignità di
queste vite segnate dalla solitudine e dalla sofferenza. Si potrebbe fare una
passeggiata in piazza Duomo, piazza Cavagneria, e nelle piccole viuzze
dall’impronta longobarda del centro, magari dopo le undici di sera, quando sono
costellate di bicchieri e bottiglie rotte. Si scoprirebbe una movida che cerca
il divertimento più sfrenato nell’alcool e nel fumo, si riconoscerebbero volti
e, forse, si proverebbe paura e preoccupazione: «Che cosa offriamo di vero, di
bello e di autentico alla sete di vita che vibra, anche silenziosamente, nel
cuore di un adolescente?».
Perché non sostare poi davanti alla mensa del povero di
Canepanova e alla mensa del fratello di San Mauro? Ecco anziani privati di
qualsiasi ruolo nella società, ecco padri separati che hanno perso tutto, ecco
poveri per i quali apparentemente non c’è possibilità di riscatto. La speranza,
che nasce e si ravviva nella Pasqua, deve renderci capaci di aprire lo sguardo
all’universale e di trasformare il particolare.
Il ricordo del vescovo è anche per la
morte dei cristiani in Egitto, in Iraq, in Nigeria, ma :«La morte ha altri volti, più
nascosti, o più tollerati e giustificati, nella nostra cultura così povera di
ragioni grandi per vivere e per sperare: ha il volto dei milioni di bambini che
non sono nati, perché privati della loro vita ancora nel grembo; ha il volto di
malati che, schiacciati dalla sofferenza e dalla disperazione, scelgono di
farsi togliere una vita, divenuta per loro intollerabile, senza significato; ha
il volto di donne, spesso povere, che per soldi prestano il loro grembo per
ospitare una creatura che poi dovranno cedere ad altri».
La speranza nasce dalla
Pasqua e diventa realtà concreta e operosa, come il grande sorriso di Teofila,
Deysi e Marledys, le tre ragazze sudamericane che hanno ricevuto il battesimo
durante la veglia pasquale: «Pasqua è davvero la festa della speranza, di
una speranza non vana o ingenua, una speranza affidabile, perché da quella
mattina è iniziata una nuova storia, una catena di testimoni, dagli apostoli ai
santi di ogni tempo: uomini e donne che attestano l’esperienza di una vita
impossibile, se Cristo non fosse vivo, se lui non continuasse a farsi incontro
e a essere una presenza attiva e operosa, anche dentro le prove e le
contraddizioni della storia».
(Giacomo Bertoni, “la Provincia Pavese”, martedì
18 aprile 2017, anno 148, n. 106, p. 14)
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