Visitare Venezia non è come visitare una qualsiasi città
piena d’arte e di storia. Visitare Venezia è entrare in una dimensione
parallela che non è passato glorioso, non è Roma insomma, ma non è neanche
futuro vertiginoso, non è dunque Milano. E no, non basta lo zampettare
incessante di migliaia di turisti distratti per essere presente laborioso. Il
tempo a Venezia si è fermato, e il momento migliore per rendersene conto è
dalle 22 in poi.
Il flusso di gente con smartphone e videocamere costantemente
accese si placa, i negozi sono ormai chiusi e i lampioni diffondono un tenuo
chiarore, appena sufficiente a vedere dove si mettono i piedi. Lungo le calli
dai contorni sfumati per la foschia si incrociano persone dai volti nascosti
dall’oscurità, s’odono echi di passi dei quali non si comprende l’origine, si
intravedono passare lente barche silenziose, che sfiorano mura scrostate
dall’umidità.
Perdersi a Venezia di notte è una grazia, perché vagando senza
più indicazioni lungo i canali si scopre il vero volto di una città museo, di una
città che con lentezza inesorabile si spopola. I grandi palazzi vuoti, l’edera
che tenta di ricoprire cancelli e simboli di antiche casate, le poche finestre
ancora aperte, dalle quali sbirciare i resti di un fasto dirompente. Nel
crepuscolo di Venezia ci sono ancora bagliori che nessuna città all’apice
dell’espansione è in grado di sprigionare. La mia guida è stata un libro che ha
trasformato i miei pomeriggi di bambino in avventure fantastiche: “Il re dei
ladri”, di Cornelia Funke.
Conservo ancora la prima edizione Mondadori del 2004
di quello che è stato un libro manifesto per me. Manifesto del turbinio di
sentimenti che prova un ragazzino fra desiderio di diventare subito grande e
paura di crescere e perdere la fantasia. E una storia così grande, così
profondamente umana, non poteva che schiudersi fra gli oscuri canali e i
palazzi in rovina della magica città lagunare, che generosamente racconta la
sua storia incredibile nel silenzio della notte.
Al visitatore Venezia chiede
ascolto, silenzio, rispetto. E reverenza. Reverenza per la maestosità di una
storia che non ha eguali e che forse sta conoscendo la sua fine, e proprio per
questo vuole essere ascoltata per non essere dimenticata. Le case che vengono
abbandonate, le chiese preziose e quasi sempre desolatamente vuote, la massa di
curiosi che azzanna la città, la fotografa, la filma, e non la vive, i furbi
che la mettono in vendita mattone per mattone offrendola al turista più
superficiale. Non c’è tramonto senza dolore, non c’è crepuscolo senza
malinconia.
Ma, tra lo sciabordio delle onde nel buio della notte veneziana,
torna alla memoria la voce vibrante e profonda di Milva, in La Canzone della
Moldava: “La notte più lunga eterna non è”.
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