Tutti noi abbiamo almeno un amico che esercita la facile
consuetudine di “sentinella antifascista-antinazista”. Il termine
“consuetudine” non vuole dispregiare, indica solo che non è la dedicazione di
una vita: prima viene un lavoro lautamente retribuito, poi, nel tempo libero
(che è sacro) si combattono fascismo e nazismo.
Per lui sono fascisti tutti
quelli dal centro in poi, in direzione destra ovviamente. Sono fascisti gli
anziani che controllano il portafoglio su un autobus affollato, sono fascisti
quelli che discutono di immigrazione senza attivare il mantra (è un playback
ormai) dell’accoglienza, sono fascisti i proprietari di quella pizzeria che
espone la bandiera italiana (il tricolore va esposto solo negli stadi).
Lui
qualche mantra lo ha, il suo profilo facebook ne è costellato: “la prima cosa
che insegnerò ai miei figli sarà odiare i fascisti”, “la pace è un sogno
possibile”, e così via. Superando il fastidio di essere guardati con sospetto
dall’amico in questione quando si controlla il portafoglio su un autobus
affollato stile scatola di sardine, fa simpatia vedere cotanta attenzione sul
pericolo di una nuova dittatura. A scuola e in università si parla già molto di
fascismo e nazismo, però riconoscere come male ciò che è male non fa mai male,
quindi melius abundare quam deficere. Diciamolo, vista l’aria che tira è anche
rassicurante scoprire di non essere l’unico a preoccuparsi.
Certo, a volte non
ci si trova d’accordo, per esempio quando, parlando dell’utero in affitto,
scopri che secondo lui è “un atto d’amore volto a dare un figlio a chi non può
averlo”, ma nonostante tutto cerchi di scagionarlo, di salvare l’amicizia. Un
po’ di confusione, in fondo, è normale di questi tempi.
Un giorno però la Corte
Europea per i Diritti dell’Uomo stabilisce che un piccolo bambino di undici
mesi, essendo gravemente malato, deve essere ucciso per soffocamento sotto
sedazione profonda “per il suo bene”. La sua malattia è, secondo i medici, ad
oggi inguaribile. Inguaribile, non incurabile. Il piccolo è vegliato da mamma e
papà, che vogliono fare di tutto per salvarlo. Si nutre grazie a un sondino, è
aiutato nella respirazione da un ventilatore, ma combatte. Cerca con lo sguardo
i suoi genitori, ha il suo peluche preferito (una piccola scimmietta dalla
quale non vuole separarsi), e combatte. Il problema qui non è l’accanimento
terapeutico: il bambino al momento non sta ricevendo nessuna terapia (quanto
tempo prezioso stiamo perdendo!), è solo aiutato nella nutrizione e nella
respirazione. Lo aiutano a procurarsi il cibo e l’aria. Il cibo e l’aria.
Non è
nemmeno dare false speranze di guarigione: esistono solo protocolli
sperimentali, che sì hanno dato risultati positivi in alcuni bambini, ma
necessiterebbero di ulteriori sperimentazioni e controlli. Insomma, si
potrebbero tentare, ma è una scelta sulla quale i genitori devono esprimersi.
C’è però un territorio sul quale nessuno ha il diritto di imperare: la dignità
della vita umana. Il criterio secondo il quale qualcuno merita cibo e aria,
qualcun altro no. Magari decidendo in base alla sua produttività, alla sua
forma fisica, alla sua età, alla sua carnagione, alle sue idee. È già successo
nella storia, ci sono stati momenti nei quali alcuni uomini decidevano quali
vite fossero degne di essere vissute e quali no. Ma non sono stati bei momenti.
Allora corri dal tuo amico, la vivace sentinella contro le dittature, e gridi
il tuo spavento, il tuo dolore: «Quel bambino è già morto, che vita triste
potrebbe fare? - la sorprendente risposta che ricevi - I medici e i giudici
sanno benissimo quello che fanno, ovvero un atto di misericordia nei suoi
confronti. Sta soffrendo, soffrirà, cosa potrà realizzare nella vita?».
No. Non
è moralismo, non è superiorità morale, non è nemmeno superiorità culturale. Ma
l’ideologia fa male alla testa. Prestiamo attenzione ai sintomi: abuso del
politicamente corretto, cinismo camuffato da saggezza, elogio del dialogo
(teorico), antipatia per la logica e conseguente refrattarietà ai sillogismi.
Il cortocircuito etico e sociologico di fronte all’attualità ne conferma la
diagnosi.
La fortuna del nostro amico è che noi, anche davanti all’ideologia più malata, vediamo pur sempre una persona. E a lei restiamo accanto.
La fortuna del nostro amico è che noi, anche davanti all’ideologia più malata, vediamo pur sempre una persona. E a lei restiamo accanto.
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