«Esiste un'artista, che si chiama Milva, che nella sua lunga carriera è passata dalla canzone popolare al Teatro di Giorgio Strehler, toccando la musica di Battiato, di Morricone, di Astor Piazzolla, le canzoni dei grandi compositori greci, francesi, tedeschi e tantissime altre cose, portando una testimonianza di immenso talento italiano in tutto il mondo. Un'artista di tale spessore non merita uno speciale televisivo?».
Non ha dubbi Peppe Barra, cantante e attore teatrale, che si unisce all’appello di Renato Zero e Diego Della Palma affinché la televisione italiana dedichi uno speciale a Milva. Ma può uno speciale in tv curare l’italica smemoratezza?
La memoria è il cuore di questi appelli, e come si potrebbe non essere concordi? Milva nell’ottobre 2014 è entrata addirittura in un libro fantasy per giovani lettori (“Un ponte tra le Valli”, Giacomo Bertoni, EdiGio’, ancora in libreria), con un personaggio misterioso e sorprendente chiamato… Memoria. Dunque, sì, c’è un problema di memoria, ma la cura può essere uno speciale in tv? Siamo più espliciti: la cura può passare da questa tv?
Se c’è una cosa lontana dai palinsesti odierni è proprio la carriera della Rossa. Una carriera profondamente libera, libera dai calcoli delle classifiche e dalle aspettative del pubblico, libera persino dalle grandi case discografiche. Una carriera in costante ricerca del bello, in viaggio tra i palcoscenici dei più importanti teatri del mondo per saziare una fame di conoscenza impossibile da tacitare con qualche singolo estivo.
Una carriera, ancora, difficile da raccontare persino per noi giornalisti, che ogni giorno raccontiamo storie, perché impone una fase di documentazione che non viene assolta dai comunicati stampa delle case discografiche.
Oggi, più della smemoratezza, spaventa la superficialità. Cercata, imposta, narrata come mezzo per “arrivare a tutti”, presentata come unica via percorribile in tempi di social, tendenze e virtuale che invade il reale.
Anche il giornalismo ha una parte non trascurabile di colpa, ne trovate traccia sfogliando questo blog: la parola d’ordine “semplifica”, il grido ossessivo (del caposervizio) “ti deve capire anche l’uomo che legge solo le prime tre righe al bar domattina mentre beve il caffè e parla con gli amici”, sono tasselli di un impoverimento del linguaggio, della verifica, dell’esposizione delle notizie (fondamentale la chiarezza espositiva nelle prime righe degli articoli, ma se le rimanenti 4mila battute non sono approfondimento preciso, serio e verificato allora il giornalista stesso diventa inutile).
Riflesso televisivo? Talk show con ospiti pagati per lo scontro e dibattiti nati per far discutere i telespettatori del dibattito e non del tema trattato nel dibattito. È lecito insomma avvertire una certa preoccupazione quando si pensa alla storia di libertà della Rossa piegata alle dinamiche che oggi scandiscono i tempi televisivi. E che dire degli esperti? Il caso “pagelle Sanremo Avvenire” non ha insegnato nulla?
Il tema era stato affrontato su questo blog il 13 gennaio 2018, con il pezzo “Milva e Sanremo: premio alla carriera?”. In quel caso, anche grazie a Martina Corgnati, è finita bene. Il dubbio però oggi ritorna e rimane: ben venga lo speciale, ma quale speciale?
Leggi anche https://parcodigiacomo.blogspot.com/2021/02/milva-oggi-come-sta.html
(Image from Milva’s official Facebook page)
Anche io sono preoccupata e mi chiedo che senso abbia uno speciale senza quello che hai scritto qualche giorno fa: la ristampa della discografia di Milva.
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