«E mi rifiuto di vedere delitti e di soffrire per le vostre pene». Ah, che tentazione, che istinto stuzzicante. Con discrezione, con grazia, voltare lo sguardo dall’altra parte. Non vedere chi ha perso una persona cara, chi ha perso il lavoro, chi ha perso se stesso. Non riconoscere che le città sono cambiate, che alcune vetrine non si illuminano più, che al posto di tanti piccoli negozi di quartiere si accendono insegne anonime di grandi catene. Che tutto passa e tutto perde colore, neanche più rosso, arancione o giallo, ma grigio.
Non ammettere che dal 23 febbraio 2020 ci sono persone che convivono con la paura, che sono sommerse da un bollettino quotidiano che non lascia spazio alla speranza. Che le paure sono macigni sulle spalle di giorno, ma la notte, quando il sonno non arriva, diventano giganti che popolano la stanza con le loro ombre minacciose.
Salvo una breve pausa estiva, che non per tutti è stata vacanze spensierate e gite fuori porta, da quasi un anno la vita è rallentata, le relazioni sono sospese e virtuali, la quotidianità è imprigionata in casa. Da lunedì 1° febbraio la Lombardia, regione più colpita per decessi e restrizioni, torna in zona gialla. È il primo passo verso un graduale e necessario ritorno alla normalità.
Sì, è necessario tornare a incontrarsi per le strade, a passeggiare insieme, a curiosare nei negozi e a visitare i musei. È necessario tornare a trovare gli anziani, chi ha la fortuna di avere ancora i nonni si armi di prudenza ma non faccia mancare la propria vicinanza, gli ammalati, le persone con disabilità, le persone sole.
Ma la pandemia più grande è dimenticare chi si è perso per strada durante il 2020. È fingere che si navighi tutti sulla stessa barca, con le stesse difese di fronte a un mondo che cambia troppo in fretta. Pretendere di tornare a relazioni in presenza non è strizzare l’occhio a chi ha sempre rifiutato le regole: che ne sanno loro, di quanto scritto finora? Chi ha continuato a uscire e viaggiare come sempre non ha provato tutto questo, non sa cosa significhi aver superato anche la paura, essere già a livello dell’apatia.
È arrivato il momento di togliere «le ragnatele sulle nostre ali», di tornare a vivere. Con una attenzione speciale per le persone più fragili: vanno protette dal virus, ma non dalle relazioni. Troppa solitudine è cresciuta negli anni, come edera selvatica che ricopre la pianta fino a soffocarla. È il momento di dire basta, è il momento di ricostruire. Oggi tendere una mano cambia la storia.
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(Image by Priscilla Du Preez from Unsplash)
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