È arrivato il Vax Day, l’inizio della somministrazione del vaccino in Europa, e su quasi tutti i giornali (versioni cartacee e online) campeggiano le immagini del furgone Pfizer che ha attraversato l’Italia per raggiungere la capitale. Immagini che pian piano vengono sostituite con i volti dei primi tre operatori sanitari vaccinati questa mattina alle 7.20 allo Spallanzani di Roma. Online si trova anche il modulo da compilare per ricevere il vaccino anti Covid-19.
Su molti giornali la cronaca lascia il posto a una narrazione entusiastica, che comprende il tweet del premier Giuseppe Conte, «Oggi l’Italia si risveglia», e le numerose dichiarazioni di fiducia nella scienza di medici e infermieri. Con l’invito, ribadito più volte da tutti gli intervistati, affinché gli italiani si apprestino a richiedere la vaccinazione.
Una scelta editoriale netta, che vede come principale portabandiera Il Fatto Quotidiano, ma che è tacitamente approvata dalla maggior parte delle testate giornalistiche italiane.
La cronaca del viaggio del nuovo vaccino, infatti, non può diventare un racconto mitologico con immagini simboliche e speranze. Questa narrazione, assolutamente lecita, può trovare spazio nella critica, nell’analisi che un giornalista, dopo aver seguito per giorni, settimane e mesi una determinata notizia, è più che titolato a produrre.
Fa strano oggi sentire in radio una collega inviata allo Spallanzani che invece di riferire ciò che sta accadendo nell’ospedale spiega che il vaccino è l’alba di un nuovo giorno, la speranza che rinasce dopo un anno terribile. Questa è critica, questo è l’attacco perfetto per un editoriale. Ma prima deve venire la cronaca, con il resoconto preciso della realtà. Con i dati, i numeri, i nomi, i luoghi. Mescolare cronaca e critica danneggia il lettore, che non ha più gli strumenti necessari a comprendere, e il giornalismo, che si riduce a megafono del potente di turno. Non è accettabile in nessun senso, ovviamente: anche una narrazione puramente pessimistica e parziale contro il vaccino svilisce la cronaca.
Allora, come deve comportarsi un giornalista quando scrive e parla di salute? La risposta è nella Carta di Perugia, la carta deontologica che guida l’operato della stampa in materia di diritti del malato. Firmata l’11 gennaio del 1995 a Perugia da Federazione regionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri dell’Umbria, Consiglio regionale Ordine dei Giornalisti dell’Umbria e da Ordine regionale degli Psicologi dell’Umbria, all’articolo 2 la Carta afferma: «L’informazione e la divulgazione devono contenere tutti gli elementi necessari a non creare false aspettative nei malati e negli utenti, e devono essere distinte in maniera evidente e inequivocabile da ogni possibile forma di pubblicità sanitaria».
E ancora, all’articolo 7: «È impegno comune la non diffusione di informazioni che possano provocare allarmismi, turbative ed ogni possibile distorsione della verità». Oggi più che mai rispettare la deontologia è il primo passo per tenere vivo il rapporto di fiducia fra stampa e cittadini. Perché un’informazione libera fa bene a tutti, un’informazione ideologica solo ai potenti di turno.
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(Image by Daniel Schludi from Unsplash)
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