Conferma integrale della sentenza di primo grado, ovvero
condanna a 24 anni di reclusione per Vitaly Markiv e risarcimento alle parti civili. Si è chiusa con queste richieste la terza udienza del processo d’appello per la morte del fotoreporter Andy Rocchelli, tenutasi ieri
nell’aula della Corte d’Assise d’Appello del Tribunale di Milano.
Un’udienza fiume, apertasi alle 9.30 del mattino, segnata dalla lunga requisitoria del sostituto procuratore generale Nunzia Ciaravolo e dalle arringhe degli avvocati delle parti civili, e conclusasi la sera, pochi minuti prima delle 18.
Prima della requisitoria, il sostituto procuratore ha espresso il proprio disappunto per il lavoro di traduzione e trascrizione fatto sull’intercettazione ambientale a Vitaly Markiv durante la sua detenzione nel carcere di Torre del Gallo, a Pavia: l’interprete ucraina, oltre a tradurre le frasi pronunciate dai detenuti, ha aggiunto fra parentesi quelle che il Pg ha definito «note interpretative personali», una sorta di spiegazione e commento alle espressioni usate da Markiv. La Corte ha dichiarato che non terrà conto di queste frasi, frasi «non richieste al perito».
La Corte e il Pg hanno inoltre reso noto di aver ricevuto una lettera dal fratello di Andrej Mironov, nella quale l’uomo esprime stupore per non essere stato avvertito del processo di prima grado celebratosi a Pavia, la famiglia si sarebbe infatti costituita parte civile. La richiesta è stata girata a Pavia, al Pm Andrea Zanoncelli che ha condotto le indagini di primo grado.
La lunga requisitoria del procuratore generale è stata suddivisa in tre momenti: la ricostruzione di quanto avvenuto il 24 maggio, il confronto dei testi sentiti e l’analisi delle dichiarazioni spontanee rilasciate da Vitaly Markiv.
A guidare la ricostruzione dei fatti sono le parole dell’unico sopravvissuto all’attacco, il giornalista francese William Roguelon: «Ci hanno presi di mira, mentre correvo verso il boschetto non contavo più il numero di colpi che ci cadevano intorno». Una scarica continua, colpi prima di armi automatiche poi di mortai, con il caratteristico sibilo «che paralizzava dalla testa ai piedi». Poi il fuoco si sfoga contro il taxi: «Hanno cercato di sopprimere il nostro unico mezzo di fuga, il taxi era diventato una calamita per i proiettili».
Potrebbero essere i loro ultimi istanti di vita, così Roguelon e Rocchelli, «giornalisti fino all’ultimo respiro» dirà nella sua arringa l’avvocato Alessandra Ballerini, continuano a scattare foto e girare video. E ancora una volta nell’aula vengono proiettati gli ultimi fotogrammi, che mostrano il fosso e la sparatoria che cresce sopra le loro teste, fra i rami degli alberi che cadono a terra. Tante volte sono stati mostrati in aula durante le udienze di primo grado a Pavia, e la famiglia di Andy è rimasta immobile, presente, silenziosa. Ancora, scusandosi proprio con la famiglia, il Pg fa proiettare il video girato nell’obitorio ucraino dove vengono portati i corpi senza vita di Andy e Andrej. La violenza dell’attacco è fotografata nel corpo di Andrej, rimasto decapitato da un colpo di mortaio.
La requisitoria continua per altre tre ore, analizzando i testi ascoltati in primo grado e confrontando le loro testimonianze: secondo il Pg Nunzia Ciaravolo, nonostante l’«inattendibilità assoluta dei testi» sentiti dalla difesa di Markiv, «tra le tante bugie emergono parti di verità, che confermano oltre ogni ragionevole dubbio che l’imputato si trovava sulla collina Karachun il 24 maggio del 2014, era in servizio, e ha deciso con l’esercito ucraino di aprire il fuoco sui giornalisti».
Nel primo pomeriggio ha preso la parola l’avvocato Ballerini, che ha tenuto un’arringa di quasi due ore: «La famiglia Rocchelli mi ha sempre chiesto di trovare la verità, non ha mai voluto un colpevole a tutti i costi. Il 12 luglio 2019, giorno della sentenza, loro erano pietrificati. C’era forse sollievo per la verità, ma nessuna esultanza. La presentazione del film “The wrong place” non è altro che un nuovo motivo di dolore per loro. Si tratta di un film inutile e non indipendente, basti pensare che le prove balistiche sono state fatte in un poligono riservatissimo al quale può accedere solo la Guardia Nazionale, ringraziata nei titoli di coda della versione ucraina. Non esistono posti sbagliati per i giornalisti, se non ci fossero i giornalisti noi non sapremmo cosa succede in questi luoghi. Lo stesso sito della Farnesina, “Viaggiare sicuri”, viene tenuto aggiornato grazie alle informazioni fornite dai giornalisti inviati sul posto».
L’avvocato Ballerini ha mostrato poi un sito ucraino: «Qui è pubblicata una lista nera che raccoglie i nomi dei personaggi sgraditi, considerati addirittura terroristi. Il nome di Andy Rocchelli figura con sopra una croce e la scritta “eliminato”. Il nome di William Roguelon è ancora indicato, non sia mai che decida di tornare. Dalla collina Karachun i soldati della Guardia nazionale vedevano questi giornalisti che documentavano le terribili condizioni dei civili. Così, il 24 maggio c’è stata volontà di uccidere, c’è stata intenzione di uccidere. Non ci si può riparare dietro la giustificazione “eseguivo ordini”, perché sparare a giornalisti inermi è un ordine palesemente illegittimo, un ordine al quale si ha il dovere di disobbedire».
La collaborazione dell’Ucraina? «Inesistente – ha ricordato l’avvocato Ballerini –. Il sopralluogo sulla collina fatto dalla magistratura ucraina è durato 20 minuti, il Pm incaricato dell’indagine ha fatto perdere le sue tracce. Il vero sopralluogo è stato fatto nel 2016 dalla famiglia Rocchelli: in quell’occasione ha anche recuperato lo zainetto di Andy, che nessuno si era preoccupato di cercare».
L’avvocato Emanuele Tambuscio ha ribadito: «Erano colpi sparati per uccidere, anche se dalla collina la distanza va oltre il tiro utile, non va oltre la gittata delle armi utilizzate». E il fuoco non si è fermato di fronte a civili disarmati: «Dopo i primi colpi si poteva ordinare il cessate il fuoco – ha aggiunto l’avvocato Gianluigi Tizzoni, per Cesura Lab –, dato che i civili erano completamente inoffensivi. Chi comandava ha invece detto di continuare a sparare, utilizzando anzi anche i mortai. E il fuoco di mortaio non lascia scampo. Già l’utilizzo delle armi leggere, seppur oltre il tiro utile, aveva lo scopo di intimidire, di gettare nel panico, di spingere i civili nel fosso che poi è diventato la loro prigione».
Infine, ha preso la parola l’avvocato Margherita Pisapia, che rappresenta l’Associazione lombarda dei giornalisti e la Federazione nazionale della stampa italiana: «Ogni forma di aggressione ai giornalisti è un grave colpo inferto alla democrazia. La libertà di stampa deve essere tutelata sempre, soprattutto in contesti di guerra. Andy era lì per raccontare una storia che altrimenti non sarebbe stata raccontata». La prossima udienza è stata fissata il 23 ottobre.
Il resoconto completo della terza udienza e tutti gli articoli sul processo di primo grado sul sito di Ossigeno per l’informazione https://www.ossigeno.info/?s=rocchelli
(Images by Giacomo Bertoni for Ossigeno per l’informazione and Il parco di Giacomo)
Nessun commento:
Posta un commento
E tu, cosa ne pensi?