“Scusami, devo staccare, tra poco inizia la Messa su
Telepavia, a dopo!” “Hai visto ieri sera che bello il rosario per l’Italia su
Tv2000?” “Ormai mi sento veronese d’adozione, da quando siamo in isolamento
seguo la Messa di monsignor Zenti su Telepace, mi sento davvero parte di qualcosa
di più grande.” “Ci sentiamo domani allora: tra poco c’è la compieta su Radio
Maria e la recito con loro.” “Abbi pazienza, ma a quell’ora devo dire la
coroncina della Divina Misericordia con Radio Mater, facciamo alle 17?”
Sono
solo una sintesi dei tanti messaggi ricevuti e inviati in queste settimane di isolamento.
E sono il motivo per il quale, quando il contagio si sarà fermato, si potrà
parlare di orgoglio cristiano.
Senza Messa dal 23 febbraio
Facciamo il punto
della situazione: il 23 febbraio scorso la Conferenza episcopale lombarda ha sospeso le Messe con concorso di popolo. Niente Messa la domenica, niente Messa
in settimana, niente Via Crucis, niente veglia nella notte di Pasqua. I
sacerdoti continuano a celebrare ma da soli, a porte chiuse. Uno shock per i
fedeli, una privazione che è sembrata il colpo di grazia davanti a un nemico
nuovo, invisibile e pericoloso. E così, anche i nostri pastori ci abbandonano? Per
di più in Quaresima, nel cammino verso la Pasqua?
Lo sconcerto è durato poco,
perché da subito i vescovi lombardi hanno messo in moto una macchina
organizzativa inedita, grazie alla quale sono nate nuove collaborazioni con le
emittenti locali per consentire a tutti i fedeli, anche a chi non usa i social,
di partecipare almeno spiritualmente alla Santa Messa.
Messe in tv e sui social
Le diocesi lombarde hanno investito tempo, creatività e denaro in
questa direzione. A questi sforzi, si sono affiancati poi quelli dei singoli
sacerdoti: già il 25 febbraio lanciavo su questo blog il motto “Isolati ma non soli”, iniziando a dar conto delle iniziative nate nella diocesi di Pavia. Oggi
è il 2 maggio: anche volendo non potrei più ricordarvele tutte, servirebbe un
post di 50mila battute. E parliamo solo di Pavia.
Cos’è successo? Semplice. I cristiani
si sono stretti attorno ai loro pastori, affidandosi, senza nascondere dubbi,
preoccupazioni e paure. Il 23 febbraio i cattolici hanno capito che tutti i
discorsi sul “custodire l’umano” e “amare il prossimo” imponevano ora uno
sforzo mai pensato prima: rinunciare all’assembramento della Messa per
proteggere la salute pubblica. In modo particolare quella delle persone più
fragili e più esposte al contagio. Dei più piccoli, dei più anziani, di chi cammina
nel mondo senza difese.
“Obbedire è meglio”
Perché lo hanno fatto i cristiani?
Perché si fidano dei loro pastori. Perché a volte li criticano, ma alla luce
del sole, nell’obbedienza. Perché hanno ben chiaro nel cuore il motto di San
Giovanni Bosco, “buoni cristiani e onesti cittadini”. Perché solo se la comunità
religiosa e quella civile abbattono le loro barriere per collaborare si può
costruire la civiltà dell’amore, una civiltà che ha bisogno dell’impegno di
tutti, una civiltà che è la promessa di un amore che vorrebbe raggiungere tutti gli uomini
e le donne di buona volontà.
Perché i cristiani sanno bene che nel mondo ci
sono Paesi dove le Messe sono vietate da regimi dittatoriali, dove si rischia
carriera, famiglia e vita a celebrare l’Eucarestia. Perché i cristiani portano
nel cuore gli ammalati, gli anziani soli, tutte le persone inchiodate a
un letto da una malattia e per questo impossibilitate a partecipare di persona
alla santa Messa. Perché, a fronte di tutto questo, la rinuncia, seppur
dolorosissima, può essere un sacrificio d’amore offerto per chi davvero alla
Messa non può partecipare mai di persona.
Una Chiesa in ogni casa
La Chiesa
domestica ha preso forma con un nuovo modo di vivere le celebrazioni, un modo
nel quale le nuove tecnologie sono strumenti fondamentali ma non protagonisti. Il
rumore del mondo è sospeso davanti alla Messa trasmessa in tv o sui social: si
spengono i fornelli, si ritarda il pasto, si dimenticano i telefoni, si ascolta
in silenzio, alzandosi e sedendosi, inginocchiandosi, preparandosi alla
Comunione spirituale con tutta la fede che c’è.
I cristiani sanno cosa significa unire fede e ragione, i cristiani sanno che cosa vuol dire impegnarsi per il bene comune, i cristiani sanno che obbedire è meglio. E l’obbedienza che salva non è mai comoda, come in questo caso, perché comporta un sacrificio inimmaginabile. Ma salva perché rende visibile sulla Terra la comunione dei santi, l’affidamento fiducioso al Cielo, la capacità di tenere a bada i propri desideri, mettere al primo posto Dio amando e rispettando il prossimo.
I cristiani sanno cosa significa unire fede e ragione, i cristiani sanno che cosa vuol dire impegnarsi per il bene comune, i cristiani sanno che obbedire è meglio. E l’obbedienza che salva non è mai comoda, come in questo caso, perché comporta un sacrificio inimmaginabile. Ma salva perché rende visibile sulla Terra la comunione dei santi, l’affidamento fiducioso al Cielo, la capacità di tenere a bada i propri desideri, mettere al primo posto Dio amando e rispettando il prossimo.
I cristiani
sanno che la Comunione non è un diritto ma un dono, il dono più grande. I cristiani
sanno, come dice Benedetto XVI, che: «Nessuna lacrima, né di chi soffre, né di chi
gli sta vicino, va perduta davanti a Dio». Insomma, l’abc della buona fede e
dell’onesta cittadinanza passa da qui. Passa anche dal sacrificio, dalla
rinuncia, da una decisione sofferta prima di tutto dai vescovi, che hanno da
subito attivato una proficua collaborazione con le autorità civili per studiare
i passi migliori.
Il desiderio e l’attesa
I cristiani, con la rinuncia e la
fiducia nei loro pastori, con la preghiera estesa a tutte le persone che
soffrono per il coronavirus, stanno dimostrando di essere luce del mondo e sale della Terra. Una luce che non si è spenta, un sale che non ha perso il suo
sapore: in un mondo dove la trasgressione e l’egoismo sembrano essere i cavalli
vincenti, l’obbedienza dei cristiani scombussola le regole del politicamente
corretto, richiama l’opinione pubblica a una mentalità antica e sempre nuova. Uniti
si trema, uniti si spera, uniti si ricostruisce.
Il desiderio di tornare in
chiesa per partecipare di persona alla Messa è oggi più forte che mai. Ci sono
volti da ritrovare, speranze da affidare, dolori da consolare. E tutto questo
richiede, impone la presenza di una comunità viva, fisica, reale. L’attesa
nella Fase 2 si fa ancora più dolorosa, ma la speranza non inganna mai. Con la
Chiesa, con i vescovi, per tutti.
Leggi anche https://parcodigiacomo.blogspot.com/2020/04/no-alle-messe-con-fedeli-vescovi-liberta-culto-governo.html
(Image by Rudy and Peter Skitterians from Pixabay)
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