«È un errore molto grave. Non si può pensare di affrontare una
generale “ripartenza” che si annuncia delicatissima rinunciando
inspiegabilmente a valorizzare la generosa responsabilità con cui i cattolici
italiani – come i fedeli di altre confessioni cristiane e di altre religioni –
hanno accettato rinunce e sacrifici e, dunque, senza dare risposta a legittime,
sentite e del tutto ragionevoli attese della nostra gente».
Così commenta oggi
Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, la decisione del governo di escludere la
ripresa delle Messe con concorso di popolo dalla Fase 2. La decisione è stata
resa nota dal premier Giuseppe Conte in una conferenza stampa trasmessa ieri
sera, subito seguita da un duro comunicato della Conferenza episcopale italiana
nel quale si accusa il governo di violare la libertà di culto.
Di lì a poche
ore, in questa lunga notte di agenzie e comunicati, il premier ha annunciato la
disponibilità a trattare per consentire ai fedeli di tornare a partecipare di
persona alle Messe, ma questo nuovo annuncio è stato seguito a sua volta da una
nota del comitato tecnico-scientifico che per le Messe parla di «criticità non
superabili». Cosa accadrà adesso? La Cei potrebbe decidere comunque di dare il
via alle Messe con concorso di popolo, ma ciò significherebbe aprire uno
scontro diretto con il governo che, in questi tempi così inediti, non è
certamente la priorità dei vescovi.
Ieri, nell’omelia della Terza domenica di Pasqua,
il vescovo di Pavia Corrado Sanguineti ha detto: «Come
discepoli del Signore, occorre raccoglierci intorno a questo pane: si tratta
del pane più necessario per vivere, soprattutto nei tempi non facili che ci
attendono, il pane vivo e vero per la fame di vita che abbiamo! Perciò,
speriamo e preghiamo che, grazie al dialogo rispettoso e franco tra la CEI e il
Governo, possiamo riprendere, con le condizioni che saranno indicate, a
celebrare l’Eucaristia con i fedeli nelle prossime settimane».
Autorità civili e religiose in dialogo
La chiave per risolvere questo blocco è proprio in quel «dialogo
rispettoso e franco» che ha guidato per esempio la Conferenza episcopale
lombarda nelle prime fasi dell’emergenza. In Lombardia le Messe con concorso di
popolo sono state sospese già il 23 febbraio, quando i numeri dei contagiati
erano lontani anni luce da quelli odierni, proprio grazie a una proficua
collaborazione fra autorità civili e religiose.
In queste settimane sono stati molti i segni di vicinanza: il sindaco di Pavia Fabrizio Fracassi ha
partecipato a una Messa a porte chiuse donando una lampada a nome della città che ora arde senza sosta davanti all’urna di San Siro, patrono della città,
ieri il presidente della provincia Vittorio Poma ha seguito come unico fedele
la Messa in duomo in rappresentanza di tutti i cittadini della provincia. È qui
la soluzione, in questo vegliare insieme cercando di custodire il bene comune.
La responsabilità dei cristiani
Certo, non sono mancati i casi di egoismo, non
sono mancati e non mancano neanche oggi i sacerdoti che celebrano di nascosto con i fedeli. Con la nuova formula: Messa a porte chiuse sì, ma le porte
vengono chiuse dopo che sono entrati i raccomandati, pochi o tanti che siano
non fa differenza. Su questo blog si parla di coronavirus dal 23 febbraio, e sono centinaia ormai le storie e le segnalazioni arrivate in questi mesi.
Grande il senso di
responsabilità, la voglia di collaborare e di custodire soprattutto chi è più
fragile e più esposto al contagio, nonostante il digiuno eucaristico sia un
dolore lancinante. Impossibile nascondere però episodi che rasentano il
fanatismo, con trucchi, amicizie e favori pur di entrare in chiesa e seguire la
Messa nonostante la sospensione. Così non si arriverà da nessuna parte. Il rispetto
che le comunità cristiane esigono dal governo deve essere corrisposto, e l’obbedienza
ai propri pastori è il primo segno di responsabilità, di amore per il bene
comune.
Libertà di culto e norme di sicurezza
Ora bisogna sedersi a un tavolo,
virtuale ovviamente, e studiare un progetto credibile e applicabile in tutte le
parrocchie che comprenda le norme per una partecipazione sicura alle
Messe. Messe all’aperto, mascherine in chiesa, gel disinfettante per le mani
all’ingresso, niente segno della pace, igienizzazione dei locali: occorre un
piano preciso, che venga seguito con rigore in tutte le parrocchie.
Senza Messa non si può vivere, ma in questo momento drammatico e nuovo i cristiani
sono chiamati a dimostrare di che pasta sono fatti. Si vincono le battaglie che
si combattono per amore, per la propria fede, per il bene di tutti, anche dei
fratelli più fragili. Buoni cristiani e onesti cittadini, sempre.
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