No, la maschera di Pilato non
è accettabile. Di fronte alla morte di Gianluca e Flavio, i due adolescenti di
Terni uccisi da una bottiglietta di metadone, lavarsi le mani sperando di
candeggiare così la coscienza non vale. Non funziona.
Per i due giovani la
morte è arrivata di notte, nel buio delle loro camerette. Una morte
inaspettata, forse involontariamente cercata, esito terribile di un gioco più
grande di loro. Ma per il mondo degli adulti il passo felpato della morte
dovrebbe essere sirena che squarcia la notte. Non ha dubbi il procuratore capo
di Terni, che parla di “responsabilità collettiva”, proprio ora che il presunto
colpevole c’è, proprio ora che le indagini stanno rivelando cosa è accaduto
quella notte.
Eppure, non è il 41enne che ha barattato la vita di Gianluca e
Flavio per 15 euro il punto focale dell’immagine. Non lo è neanche la
bottiglietta di metadone, che avrebbe potuto contenere qualsiasi altra
sostanza. La domanda che risuona sempre più forte è: perché due giovani di 15 e
16 anni sono andati a cercare un aiutino chimico? La loro serata non era
abbastanza viva? La loro vita non era abbastanza piena?
La verità è che gli
adulti spesso dimenticano che l’adolescenza non è solo il periodo spensierato
della leggerezza e dei sogni, bensì il momento nel quale i sogni iniziano a
scricchiolare contro una realtà cinica e disincantata. E in questo tempo della
vita, che preme sull’acceleratore delle apparenze nel confronto con i coetanei,
che fatica a trovare punti di riferimento stabili, che diventa via via sempre
più virtuale, le droghe paiono come l’anestetico alla fatica del reale.
Da
tempo chi si occupa di disagio e dipendenze suona la campana d’allarme: basta ascoltare Simone Feder, psicologo della Casa del Giovane. Feder, che lavora
nella realtà fondata alla fine degli anni ’70 da don Enzo Boschetti, quando
Pavia era ferita dall’eroina, racconta di incontrare spesso giovani che: «A 17
anni mi guardano e mi dicono “la mia vita non ha senso”». Un vuoto interiore
straziante, che spera di trovare ristoro in pasticche o bevande capaci di
tacitare la coscienza.
Un disagio che spinge giovani, anche provenienti da
famiglie benestanti, a bruciare le notti nel boschetto di Rogoredo, dove
nessuno li chiama più per nome per mesi, a volte anni. Non è un caso se i
giovani si avvicinano agli stupefacenti sempre prima, un fenomeno che è stato definito “pandemico” da Alfredo Mantovano, magistrato e vicepresidente del
Centro Studi Rosario Livatino.
Una situazione ben fotografata dal rapporto
annuale del Ministero della Salute sulle dipendenze e da “Selfie”, ricerca effettuata nel 2018 da Casa del Giovane e Fondazione Exodus su oltre 7mila
ragazzi tra i 14 e i 18 anni. Con una postilla per gli adulti: prima delle
sostanze da controllare, c’è una ferita da curare.
(Image by MichaelGaida from Pixabay)
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