I collaboratori esterni sono giornalisti che lavorano per
un giornale dall’esterno appunto, spesso da casa. Non hanno accesso alla
redazione, non possono usare i computer della redazione, ricevono indicazioni
via telefono e via mail. Un tempo una scelta di libertà, oggi la scorciatoia
dei giornali per avere forza lavoro senza assumere.
In questa situazione di crisi
congelata, piomba la proposta del neodirettore di Repubblica Maurizio Molinari
di premiare ogni settimana il giornalista che presenterà la proposta migliore.
Con un bonus da 600 euro. Ma procediamo per gradi e torniamo ai collaboratori
esterni.
Liberi ieri e precari oggi
Una situazione particolare, che in passato
si verificava in tre occasioni: la gavetta, prima di avviare il praticantato o
di assumere il direttore metteva così alla prova l’aspirante cronista, l’attività
giornalistica come attività non prevalente, in caso di giornalisti pubblicisti,
o la libera scelta di chi preferiva restare freelance, tenendo insieme più
collaborazioni con testate differenti.
Negli ultimi anni però, la
collaborazione esterna è diventata un cappello sotto il quale nascondere
giornalisti che lavorano a tempo pieno per la testata, con tutti i doveri di un
contratto subordinato, ma nessuna garanzia. Spesso il collaboratore esterno è
pagato pochi euro lordi a pezzo, al momento in vigore c’è l’equo compenso, non
ha né ferie né malattia, e in alcuni gruppi editoriali non ha diritto alla
firma in alto, ma solo a fine pezzo. Chi ama questo lavoro, chi lo fa con passione
e come unica attività, si ritrova così in un meccanismo nel quale rischia di
finire stritolato.
Come lavora un esterno
Si lavora sempre, dal lunedì alla
domenica. Ogni giorno perso è un giorno non pagato, e con il tariffario dell’equo
compenso non si può perdere neanche un’occasione. Dopo aver realizzato un
reportage, che magari ha richiesto due giorni di sopralluoghi e interviste, il
pezzo viene inviato. A quel punto il collaboratore esterno ne perde
completamente il controllo: l’articolo riceve titolo e catenaccio da chi spesso
ne ha letto solo le prime tre righe. Viene cucinato, tagliato, allungato,
modificato in base a mille motivazioni che mai vengono riferite al giornalista
autore del pezzo.
L’esterno può lavorare 16 giorni di seguito, può conquistare
con le sue proposte il titolo di apertura del giornale e tre aperture lo stesso giorno, e può
fare tutto questo per anni. Ma nulla cambia nel rispetto professionale ed
economico che gli viene riconosciuto dall’editore e dalle grandi firme, dotate
di grandi contratti. E poco importa se le grandi firme compaiono sempre meno,
se non usano i social, se abusano dei privilegi, se a volte appongono per
purissima disattenzione la loro firma al pezzo di un esterno.
Un bonus ai soliti noti?
Per questo, la proposta di Molinari di donare 600 euro alla migliore notizia della settimana inquieta e rattrista. Inquieta perché i
collaboratori esterni hanno accesso alle riunioni di redazione come un chirurgo
plastico ha accesso alla sala di controllo di una centrale nucleare. Chi si
preoccuperà di difendere il loro nome durante le riunioni, di ribadire la
paternità delle idee in caso provengano dall’esterno? Rattrista perché ancora
una volta le redazioni si avvitano su se stesse. Come la splendida sala da
ballo del Titanic. Si continua a narrare un mondo dalla scrivania, ma il mondo intanto
corre a velocità sconvolgenti, e impone la presenza sul campo, pretende
flessibilità mentale, riconosce la passione.
Non c’è soluzione alla crisi del
giornalismo, crisi che viene solo in parte dalla rivoluzione digitale, senza un
rinnovamento profondo delle redazioni. Non si combattono le ingiustizie del
mondo alimentandone altre. Non si risana la fiducia dei lettori giocando alla
casta.
Nessun commento:
Posta un commento
E tu, cosa ne pensi?