“Non prendete per nessun motivo antinfiammatori!” “Comprate
subito integratori di vitamina C, tipo il Cebion!” “Domani chiudono tutti i
supermercati!” “Guardate le immagini del rosario volante!” Non accenna ad
esaurirsi la catena di fake news che in queste settimane intasa WhatsApp.
Notizie assolutamente prive di qualsiasi fondamento, che nonostante questo corrono veloci e ottengono nel giro di poche ore migliaia di condivisioni. Sono verosimili, partono da paure e speranze rese più forti dall’emergenza, e riescono a diventare vere a furia di essere ripetute. Solo quella sugli integratori di vitamina C personalmente l’ho ricevuta 8 volte, tra gruppi e contatti privati.
Notizie assolutamente prive di qualsiasi fondamento, che nonostante questo corrono veloci e ottengono nel giro di poche ore migliaia di condivisioni. Sono verosimili, partono da paure e speranze rese più forti dall’emergenza, e riescono a diventare vere a furia di essere ripetute. Solo quella sugli integratori di vitamina C personalmente l’ho ricevuta 8 volte, tra gruppi e contatti privati.
Ora, è vero: i grandi giornali hanno mostrato tutta la loro debolezza
davanti al coronavirus. Le agenzie stampa stesse, soprattutto nei primi giorni,
hanno corso più volte il rischio di battere notizie non ancora pienamente
verificate (basti pensare alla sospensione di tutte le Messe in Lombardia,
battuta dall’Ansa il 22 febbraio quando ancora molte diocesi lombarde non si
erano neanche riunite per decidere).
Ma il giornalismo rimane il vero baluardo a questa follia comunicativa. Perché dietro a un giornale c’è una redazione di giornalisti (iscritti ad un albo professionale con il suo codice deontologico), un caposervizio, un caporedattore, un direttore responsabile? Perché ci sono i nomi dei giornalisti sopra le notizie? Perché c’è il nome dell’editore? Perché dietro alla notizia c’è un lungo lavoro giornalistico di ricerca, verifica, confronto e cucina della notizia. Che, non nascondiamoci dietro una tastiera, può anche essere ideologico. Può anche rispondere a interessi di parte e non a quelli del lettore. Ma rimane comunque quanto di più verificabile ci sia.
Perché, a fronte della notizia sulla chiusura dei supermercati scritta da XXX YYY sul giornale ZZYXY, noi possiamo scrivere al giornale, chiamare il giornale, a volte anche parlare direttamente con il giornalista (in redazione spesso le telefonate ci vengono passate direttamente, nei limiti del possibile, ed è giusto che sia così). Il giornalista ci mette la faccia, il nome, la carriera.
Ma il giornalismo rimane il vero baluardo a questa follia comunicativa. Perché dietro a un giornale c’è una redazione di giornalisti (iscritti ad un albo professionale con il suo codice deontologico), un caposervizio, un caporedattore, un direttore responsabile? Perché ci sono i nomi dei giornalisti sopra le notizie? Perché c’è il nome dell’editore? Perché dietro alla notizia c’è un lungo lavoro giornalistico di ricerca, verifica, confronto e cucina della notizia. Che, non nascondiamoci dietro una tastiera, può anche essere ideologico. Può anche rispondere a interessi di parte e non a quelli del lettore. Ma rimane comunque quanto di più verificabile ci sia.
Perché, a fronte della notizia sulla chiusura dei supermercati scritta da XXX YYY sul giornale ZZYXY, noi possiamo scrivere al giornale, chiamare il giornale, a volte anche parlare direttamente con il giornalista (in redazione spesso le telefonate ci vengono passate direttamente, nei limiti del possibile, ed è giusto che sia così). Il giornalista ci mette la faccia, il nome, la carriera.
Ma com’è possibile
credere a un messaggio vocale di WhatsApp, a volte addirittura anonimo, che tra
l’altro fa palesemente pubblicità a un integratore di vitamina C? Prima di
correre al supermercato convinti che stia per chiudere per sempre, apriamo un
attimo un giornale o il suo sito. Verifichiamo, appelliamoci a chi sta passando
le sue giornate a verificare le notizie senza sosta dal 22 febbraio scorso. Piuttosto
chiamiamo direttamente in redazione: nei giornali locali succede spesso, ed è
bella questa relazione di fiducia, a volte diventa un vero motore anche per il
giornale stesso per avviare indagini più approfondite, a volte nuove notizie
emergono proprio dalle sollecitazioni dei lettori. Ma tutte devono prima essere
verificate, con le fonti ufficiali, con i colleghi, con il proprio caposervizio
e con il proprio direttore, che poi risponde anche penalmente di quanto viene pubblicato
sulla testata.
Le notizie non si trovano su WhatsApp, le notizie non si trovano sui social. Sui social possono trovarsi link di siti istituzionali o di testate giornalistiche: lì ci sono le notizie. Lì c’è il vero filtro al pericoloso magma di allarmi e appelli che in queste settimane ci travolge.
Le notizie non si trovano su WhatsApp, le notizie non si trovano sui social. Sui social possono trovarsi link di siti istituzionali o di testate giornalistiche: lì ci sono le notizie. Lì c’è il vero filtro al pericoloso magma di allarmi e appelli che in queste settimane ci travolge.
Mark Twain, non
senza una punta di acidità verso la categoria, scriveva: “Se non hai letto il
giornale, sei disinformato. Se l’hai letto, sei male informato”. Leggere un
singolo giornale forse non basta per essere informati, il senso critico del
lettore non può essere messo in standby. Ma non leggere le notizie dalle
testate giornalistiche significa affidarsi a venditori di fumo che si
arricchiscono grazie a paura e superficialità. È il caso di regalare la nostra
libertà a catene virali su WhatsApp?
Leggi anche https://parcodigiacomo.blogspot.com/2018/02/the-post-e-limperativo-categorico.html?m=0
(Image n. 1 by Peter Lawrence from Unsplash, image n. 2 by janeb13 from Pixabay, image n. 3 by David Smooke from Unsplash)
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