venerdì 30 marzo 2018

Oriana Fallaci e la libertà d'espressione

«Nei regimi assolutisti o dittatoriali, spiega Tocqueville, il dispotismo colpisce grossolanamente il corpo. Lo incatena, lo sevizia, lo sopprime con gli arresti e le torture, le prigioni e le Inquisizioni. Con le decapitazioni, le impiccagioni, le fucilazioni, le lapidazioni. E così facendo ignora l’anima che intatta può levarsi sulle carni martoriate, trasformare la vittima in eroe. Nei regimi inertemente democratici, al contrario, il dispotismo ignora il corpo e si accanisce sull’anima. Perché è l’anima che vuole incatenare, seviziare, sopprimere. Alla vittima, infatti, non dice: “O la pensi come me o muori”. Dice: “Scegli. Sei libero di non pensare o di pensarla come me. E se la penserai in maniera diversa da me, io non ti punirò con gli autodafé. Il tuo corpo non lo toccherò, i tuoi beni non li confischerò, i tuoi diritti politici non li lederò. Potrai addirittura votare. Ma non potrai essere votato perché io sosterrò che sei un essere impuro, un pazzo o un delinquente. Ti condannerò alla morte civile, ti renderò un fuorilegge, e la gente non ti ascolterà. Anzi, per non essere a loro volta puniti coloro che la pensano come te ti abbandoneranno”.

Poi aggiunge che nelle democrazie inanimate, nei regimi inertemente democratici, tutto si può dire fuorché la verità. Tutto si può esprimere, tutto si può diffondere, fuorché il pensiero che denuncia la verità. Perché la verità mette con le spalle al muro. Fa paura. I più cedono alla paura e, per paura, intorno al pensiero che denuncia la verità tracciano un cerchio invalicabile. Un’invisibile ma insormontabile barriera all’interno della quale si può soltanto tacere o unirsi al coro. Se lo scrittore scavalca quel cerchio, supera quella barriera, il castigo scatta alla velocità della luce. Peggio: a farlo scattare sono proprio coloro che in segreto la pensano come lui ma che per prudenza si guardano bene dal contestare chi lo anatemizza e lo scomunica. Infatti per un po’ tergiversano, danno un colpo al cerchio ed uno alla botte. Poi tacciono e terrorizzati dal rischio che anche quell’ambiguità comporta s’allontanano in punta di piedi, abbandonano il reo alla sua sorte. (…)

Il libro di Oriana Fallaci con La rabbia e l'orgoglio e La forza della ragione

C’è il declino dell’intelligenza. Quella individuale e quella collettiva. Quella inconscia che guida l’istinto di sopravvivenza e quella conscia che guida la facoltà di capire, apprendere, giudicare, e quindi distinguere il Bene dal Male. Eh, sì. Paradossalmente siamo meno intelligenti di quanto lo fossimo quando non sapevamo volare, andare su Marte, cercarvi l’acqua. O riattaccarci un braccio, cambiarci il cuore, clonare una pecora o noi stessi. Siamo meno lucidi, meno svegli, di quando non avevamo quel che serve o dovrebbe servire a coltivare l’intelligenza. Cioè la scuola accessibile a tutti anzi obbligatoria, l’abbondanza e l’immediatezza delle informazioni, l’Internet, la tecnologia che rende la vita più facile. E il benessere che toglie l’assillo della fame, del freddo, del domani, che placa l’invidia. Quando questo bendidio non esisteva, bisognava risolvere tutto da soli. Quindi sforzarci a ragionare, pensare con la propria testa. Oggi no. Perché anche nelle piccole cose quotidiane la società fornisce soluzioni già pronte. Decisioni già prese. Pensieri già elaborati confezionati pronti all’uso come cibo già cotto.
  
We are thinking for you. So you don’t have to. Stiamo pensando per te. Così tu non devi farlo” dice l’agghiacciante scritta che ogni tanto lampeggia in un angolo dello schermo quando alla Tv scelgo il canale “Science and Science-Fiction”. Più o meno ciò che fanno i dannati computer (io li detesto) quando correggon gli errori e addirittura forniscono suggerimenti, così esentandoti dal dovere di conoscere la Consecutio Temporum e l’ortografia, nonché sgravandoti da ogni senso di responsabilità e portandoti all’ottusità. Ergo, la gente non pensa più». (da “Il coraggio che ci serve. La forza della ragione”, Oriana Fallaci, Bur Rizzoli, Milano 2016, pp. 377-383)

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