«Ma ne vale davvero la pena?». Chissà se Katharine “Kay”
Graham se lo sarà chiesto nelle notti infinite di quel giugno 1971 destinato a
entrare nella storia. Su un piatto della bilancia la sicurezza tranquilla della
prudenza, le amicizie potenti di lunga data e l’approvazione di un mondo pronto
a garantire profitti sicuri. Sull’altro piatto nulla, se non una convinzione:
la verità si deve pubblicare. Un imperativo categorico capace di mettere in
dubbio tutto, compreso un giornale da sempre di proprietà della propria
famiglia. Un giornale amato ed ereditato, un giornale da far vivere e crescere.
Kay è l’esempio fulgido di “editore illuminato”, dell’editore che, pur non
essendo giornalista, sa capire l’insopprimibile esigenza di raccontare la
verità. Ma Kay è pur sempre l’editore del “The Washington Post”: oltre le battaglie
di libertà, lei è impegnata nella quotidiana lotta di far vivere una creatura
bellissima e complessa quale è un giornale. Come ricorda in uno dei momenti più
delicati del film: «Occorre un giornale per poter continuare a fare le domande
scomode».
Ed è proprio l’equilibrio tra le forze che reggono un giornale il
vero protagonista di “The Post”, tra le istanze di una redazione coraggiosa e a
caccia di notizie, i calcoli economici e di opportunità di un editore, e le
pressioni, a volte amicali a volte dittatoriali, della politica e dei potenti
di turno. Dietro le pagine di carta che arrivano ogni giorno prima dell’alba
nelle edicole c’è tutto questo e molto altro. Un mondo frenetico, duro, a volte
terribile, a volte annientante, eppure affascinante come nessun altro.
Cosa è
successo poi durante il salto dal 1971 al 2018? È cambiato il mondo. Ma è
cambiato così radicalmente che sembra siano passati secoli. Nonostante la
trasfigurazione, l’imperativo categorico si ripresenta pressante: la verità si
deve pubblicare. Solo che i potenti, i personaggi che sollevando un telefono
possono interrompere finanziamenti o far vacillare la credibilità di un
giornale, non sono più nei palazzi della politica. I lineamenti di chi comanda
davvero oggi sono volutamente nebbiosi, eppure le pressioni sono chiare e più
forti che mai. E il sostegno al giornale dell’opinione pubblica? Il rapporto di
fiducia lettore-giornalista è sofferente perché ferito da molteplici spine,
alcune delle quali sparse dalla stampa stessa, ma conserva ancora spazi di
speranza.
L’imperativo categorico, che Oriana Fallaci ha sapientemente
attinto dalla filosofia per designarlo motore della sua scrittura, non può
essere disatteso: «Cosa penseranno di noi quando fra tanti anni si scoprirà che
sapevamo tutto ma non abbiamo pubblicato nulla?».
Nessun commento:
Posta un commento
E tu, cosa ne pensi?