«(…) C’è ancora una seconda parola nel racconto di Natale
sulla quale vorrei riflettere insieme a voi: l’inno di lode che gli angeli
intonano dopo il messaggio circa il neonato Salvatore: “Gloria a Dio nel più
alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini del suo compiacimento”. Dio è
glorioso. Dio è luce pura, splendore della verità e dell’amore. Egli è buono. È
il vero bene, il bene per eccellenza. Gli angeli che lo circondano trasmettono
in primo luogo semplicemente la gioia per la percezione della gloria di Dio. Il
loro canto è un’irradiazione della gioia che li riempie. Nelle loro parole
sentiamo, per così dire, qualcosa dei suoni melodiosi del cielo.
Là non è sottesa alcuna domanda sullo scopo, c’è semplicemente il dato di essere colmi della felicità proveniente dalla percezione del puro splendore della verità e dell’amore di Dio. Da questa gioia vogliamo lasciarci toccare: esiste la verità. Esiste la pura bontà. Esiste la luce pura. Dio è buono ed Egli è il potere supremo al di sopra di tutti i poteri. Di questo fatto dovremmo semplicemente gioire in questa notte, insieme agli angeli e ai pastori.
Là non è sottesa alcuna domanda sullo scopo, c’è semplicemente il dato di essere colmi della felicità proveniente dalla percezione del puro splendore della verità e dell’amore di Dio. Da questa gioia vogliamo lasciarci toccare: esiste la verità. Esiste la pura bontà. Esiste la luce pura. Dio è buono ed Egli è il potere supremo al di sopra di tutti i poteri. Di questo fatto dovremmo semplicemente gioire in questa notte, insieme agli angeli e ai pastori.
Con la gloria di Dio nel più alto dei cieli è in
relazione la pace sulla terra tra gli uomini. Dove non si dà gloria a Dio, dove
Egli viene dimenticato o addirittura negato, non c’è neppure pace. Oggi, però,
diffuse correnti di pensiero asseriscono il contrario: le religioni, in
particolare il monoteismo, sarebbero la causa della violenza e delle guerre nel
mondo; occorrerebbe prima liberare l’umanità dalle religioni, affinché si crei
poi la pace; il monoteismo, la fede nell’unico Dio, sarebbe prepotenza, causa
di intolleranza, perché in base alla sua natura esso vorrebbe imporsi a tutti
con la pretesa dell’unica verità.
È vero che, nella storia, il monoteismo è servito di pretesto per l’intolleranza e la violenza. È vero che una religione può ammalarsi e giungere così ad opporsi alla sua natura più profonda, quando l’uomo pensa di dover egli stesso prendere in mano la causa di Dio, facendo così di Dio una sua proprietà privata. Contro questi travisamenti del sacro dobbiamo essere vigilanti. Se un qualche uso indebito della religione nella storia è incontestabile, non è tuttavia vero che il “no” a Dio ristabilirebbe la pace. Se la luce di Dio si spegne, si spegne anche la dignità divina dell’uomo. Allora egli non è più l’immagine di Dio, che dobbiamo onorare in ciascuno, nel debole, nello straniero, nel povero. Allora non siamo più tutti fratelli e sorelle, figli dell’unico Padre che, a partire dal Padre, sono in correlazione vicendevole.
Che generi di violenza arrogante allora compaiono e come l’uomo disprezzi e schiacci l’uomo lo abbiamo visto in tutta la sua crudeltà nel secolo scorso. Solo se la luce di Dio brilla sull’uomo e nell’uomo, solo se ogni singolo uomo è voluto, conosciuto e amato da Dio, solo allora, per quanto misera sia la sua situazione, la sua dignità è inviolabile. Nella Notte Santa, Dio stesso si è fatto uomo, come aveva annunciato il profeta Isaia: il bambino qui nato è “Emmanuele”, Dio con noi (cfr Is 7,14). E nel corso di tutti questi secoli davvero non ci sono stati soltanto casi di uso indebito della religione, ma dalla fede in quel Dio che si è fatto uomo sono venute sempre di nuovo forze di riconciliazione e di bontà. Nel buio del peccato e della violenza, questa fede ha inserito un raggio luminoso di pace e di bontà che continua a brillare.
È vero che, nella storia, il monoteismo è servito di pretesto per l’intolleranza e la violenza. È vero che una religione può ammalarsi e giungere così ad opporsi alla sua natura più profonda, quando l’uomo pensa di dover egli stesso prendere in mano la causa di Dio, facendo così di Dio una sua proprietà privata. Contro questi travisamenti del sacro dobbiamo essere vigilanti. Se un qualche uso indebito della religione nella storia è incontestabile, non è tuttavia vero che il “no” a Dio ristabilirebbe la pace. Se la luce di Dio si spegne, si spegne anche la dignità divina dell’uomo. Allora egli non è più l’immagine di Dio, che dobbiamo onorare in ciascuno, nel debole, nello straniero, nel povero. Allora non siamo più tutti fratelli e sorelle, figli dell’unico Padre che, a partire dal Padre, sono in correlazione vicendevole.
Che generi di violenza arrogante allora compaiono e come l’uomo disprezzi e schiacci l’uomo lo abbiamo visto in tutta la sua crudeltà nel secolo scorso. Solo se la luce di Dio brilla sull’uomo e nell’uomo, solo se ogni singolo uomo è voluto, conosciuto e amato da Dio, solo allora, per quanto misera sia la sua situazione, la sua dignità è inviolabile. Nella Notte Santa, Dio stesso si è fatto uomo, come aveva annunciato il profeta Isaia: il bambino qui nato è “Emmanuele”, Dio con noi (cfr Is 7,14). E nel corso di tutti questi secoli davvero non ci sono stati soltanto casi di uso indebito della religione, ma dalla fede in quel Dio che si è fatto uomo sono venute sempre di nuovo forze di riconciliazione e di bontà. Nel buio del peccato e della violenza, questa fede ha inserito un raggio luminoso di pace e di bontà che continua a brillare.
Così Cristo è la nostra pace e ha annunciato la pace ai
lontani e ai vicini (cfr Ef 2,14.17). Come non dovremmo noi pregarlo in
quest’ora: Sì, Signore, annuncia a noi anche oggi la pace, ai lontani e ai
vicini. Fa’ che anche oggi le spade siano forgiate in falci (cfr Is 2,4), che
al posto degli armamenti per la guerra subentrino aiuti per i sofferenti.
Illumina le persone che credono di dover esercitare violenza nel tuo nome,
affinché imparino a capire l’assurdità della violenza e a riconoscere il tuo
vero volto. Aiutaci a diventare uomini “del tuo compiacimento” – uomini secondo
la tua immagine e così uomini di pace. Appena gli angeli si furono allontanati, i pastori
dicevano l’un l’altro: Orsù, passiamo di là, a Betlemme e vediamo questa parola
che è accaduta per noi (cfr Lc 2,15). I pastori si affrettavano nel loro
cammino verso Betlemme, ci dice l’evangelista (cfr 2,16). Una santa curiosità
li spingeva a vedere in una mangiatoia questo bambino, del quale l’angelo aveva
detto che era il Salvatore, il Cristo, il Signore. La grande gioia, di cui
l’angelo aveva parlato, aveva toccato il loro cuore e metteva loro le ali.
Andiamo di là, a Betlemme, dice la liturgia della Chiesa
oggi a noi. Trans-eamus traduce la Bibbia latina: “attraversare”, andare di là,
osare il passo che va oltre, la “traversata”, con cui usciamo dalle nostre
abitudini di pensiero e di vita e oltrepassiamo il mondo meramente materiale
per giungere all’essenziale, al di là, verso quel Dio che, da parte sua, è
venuto di qua, verso di noi. Vogliamo pregare il Signore, perché ci doni la
capacità di oltrepassare i nostri limiti, il nostro mondo; perché ci aiuti a
incontrarlo, specialmente nel momento in cui Egli stesso, nella Santissima
Eucaristia, si pone nelle nostre mani e nel nostro cuore (...)». (Dall'omelia di Papa Benedetto XVI, Santa Messa di Mezzanotte del 24 dicembre 2012, basilica vaticana)
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