Sono passati 7 anni. Ormai è un ritorno maturo, sei
cambiato. Non passi più davanti al busto di Torquato come studente, ma come
cronista (quindi puoi anche guardarlo negli occhi). Ora sei un osservatore
esterno, distaccato. Eppure l’emozione si ripresenta. Il primo giorno di scuola
fa ancora tremare le ginocchia, anche se forse c’entra la corsa che hai dovuto
fare non trovando parcheggio…
Seguire e raccontare (domani in edicola) il primo
giorno di scuola nell’istituto dove hai vissuto il tuo primo giorno di scuola
superiore è un’esperienza quasi mistica. I passi, oggi più sicuri, si posano
sugli stessi gradini, percorrono gli stessi corridoi. Qualcosa è cambiato: cosa
sono queste cartine geografiche antiche? E questo splendido pianoforte a coda?
Tutta questa tecnologia, i computer, le lim? Le cose importanti però sono
rimaste le stesse: il sorriso dei collaboratori scolastici, le voci dei
professori, la fila in segreteria. Vi rendete conto di quanto sono belle le
nostre radici?
Radici fatte di luoghi. Come un monastero, sorto secoli fa e poi diventato liceo. E la sua
storia grande si è intrecciata per 5 anni con la mia storia piccola. Radici
fatte di volti, legati a quella quotidianità oggi lontana. Ma quei volti ancora
mi sorridono, ancora rimescolano ricordi, avventure e disavventure, attese e
speranze che solo chi ha vissuto ore, giorni, mesi e anni in quella scuola può
conoscere. Come i rami del cedro del Libano. Gli intervalli, le serate di
festa, le nuove amicizie nate, questo e molto altro è accaduto lì, sotto la sua
ombra. E nella memoria di questo cedro, che ha visto passare sotto i suoi aghi
monaci, luminari, studenti svogliati e studenti secchioni, ci sono anche i miei
intervalli. Ci sono anche i miei ricordi.
Poi la campanella suona, ancora una
volta, ancora come 7 anni fa. Entri in aula, ti metti in un angolino: vuoi
ascoltare tutto, assorbire ogni sensazione. La prof ti chiede per favore di
aprire le persiane, perché una finestra è rimasta chiusa. Tu le apri e, di
colpo, ecco il tuo duomo. Il mio duomo. Lì, così vicino che sembra di poterlo
toccare. Così maestoso che sembra capace di sollevare anche te, oltre le tue
mille insicurezze e fragilità. Quella città dove sei nato, cresciuto, dove
vivi, è anche tua. Pavia è anche mia.
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