«Si può e si deve respingere la tentazione – indotta anche
da mutamenti legislativi – di usare la medicina per assecondare una possibile
volontà di morte del malato, fornendo assistenza al suicidio o causandone
direttamente la morte con l’eutanasia». I vescovi italiani scelgono queste
parole di papa Francesco per ribadire il loro “sì” alla difesa della vita, di
ogni vita, in modo particolare quando è segnata dalla malattia e dalla sofferenza.
Nella nota della Presidenza della CEI si legge inoltre: «La preoccupazione maggiore è relativa soprattutto alla spinta culturale implicita che può derivarne per i soggetti sofferenti a ritenere che chiedere di porre fine alla propria esistenza sia una scelta di dignità. I Vescovi confermano e rilanciano l’impegno di prossimità e di accompagnamento della Chiesa nei confronti di tutti i malati. Si attendono che il passaggio parlamentare riconosca nel massimo grado possibile tali valori, anche tutelando gli operatori sanitari con la libertà di scelta».
Nella nota della Presidenza della CEI si legge inoltre: «La preoccupazione maggiore è relativa soprattutto alla spinta culturale implicita che può derivarne per i soggetti sofferenti a ritenere che chiedere di porre fine alla propria esistenza sia una scelta di dignità. I Vescovi confermano e rilanciano l’impegno di prossimità e di accompagnamento della Chiesa nei confronti di tutti i malati. Si attendono che il passaggio parlamentare riconosca nel massimo grado possibile tali valori, anche tutelando gli operatori sanitari con la libertà di scelta».
A parlare,
dopo il pronunciamento della Corte Costituzionale, è anche Massimo Gandolfini,
presidente del Comitato Difendiamo i nostri figli, che aggiunge: «Il Family Day
ritiene irricevibile il pronunciamento della Corte Costituzionale che rischia
di far diventare l’Italia uno dei pochissimi Paesi al mondo che consente il
suicidio assistito. Viene affermata infatti la possibilità di aiutare una
persona a suicidarsi, anche qualora questa non sia in uno stato terminale della
malattia e reputi intollerabili le sue sofferenze psicologiche. Definizioni che
rischiano di allargare le maglie dell’eutanasia attiva a tutti i soggetti più
fragili della società».
Un piano inclinato, una finestra di Overton: «Questa decisione non porterà alcun diritto civile, maggiore dignità al malato e capacità di autodeterminazione, ma, al contrario, le conseguenze sul piano pratico sono quelle già evidenti nei Paesi dove la legalizzazione dell’eutanasia ha condotto i più deboli su un piano inclinato irreversibile: pressione psicologica sulle persone vulnerabili, abbandono terapeutico di anziani e disabili, crescita esponenziale delle richieste di suicidio assistito, casi di eutanasia senza esplicita richiesta soprattutto per pazienti in stato di coscienza minima (vedi caso Lambert) ed una perdita di fiducia nel rapporto medico paziente».
Un piano inclinato, una finestra di Overton: «Questa decisione non porterà alcun diritto civile, maggiore dignità al malato e capacità di autodeterminazione, ma, al contrario, le conseguenze sul piano pratico sono quelle già evidenti nei Paesi dove la legalizzazione dell’eutanasia ha condotto i più deboli su un piano inclinato irreversibile: pressione psicologica sulle persone vulnerabili, abbandono terapeutico di anziani e disabili, crescita esponenziale delle richieste di suicidio assistito, casi di eutanasia senza esplicita richiesta soprattutto per pazienti in stato di coscienza minima (vedi caso Lambert) ed una perdita di fiducia nel rapporto medico paziente».
Preoccupazione
condivisa anche dal Movimento per la Vita, che in una nota afferma: «La
sofferenza non si combatte con il farmaco letale, ma con la terapia del dolore
e le cure palliative. È chiaro che dietro l’introduzione sociale del suicidio
assistito come dell’eutanasia c’è una cultura che non sa riconoscere la dignità
umana nei malati, nei disabili, negli anziani e strumentalizza il tema della
libertà. È la cultura dello scarto.
È necessario reagire e non soccombere. Ci resta la speranza che il Parlamento intervenga almeno per evitare le peggiori derive, che la coscienza dei medici si rifiuti di collaborare ad atti che cagionano la morte, che la medicina palliativa e la terapia del dolore sia davvero diffusa su tutto il territorio nazionale, che si rinforzino autentici legami e relazioni di autentica solidarietà, perché come abbiamo detto tante volte la morte si accetta e non si cagiona. Questo è civiltà».
È necessario reagire e non soccombere. Ci resta la speranza che il Parlamento intervenga almeno per evitare le peggiori derive, che la coscienza dei medici si rifiuti di collaborare ad atti che cagionano la morte, che la medicina palliativa e la terapia del dolore sia davvero diffusa su tutto il territorio nazionale, che si rinforzino autentici legami e relazioni di autentica solidarietà, perché come abbiamo detto tante volte la morte si accetta e non si cagiona. Questo è civiltà».
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